Sono tutti bravi, Savoldo, Correggio, Tintoretto e Veronese, «unarmata Brancaleone» di ottima levatura, veneto-emiliana, smistata lungo il Cinquecento. Ma Giorgione è il mistero. Pochissimi i documenti, quasi sconosciuta la vita, rare le opere certe. Eppure il suo nome ha eccezionale carisma. Perché? Proprio per il mistero. Una vita breve e bruciata, come tanti altri geni, da Caravaggio a Van Gogh. Una pittura bella e intrigante, di cui non si riescono a capire i significati. Nasce a Castelfranco Veneto, tra il 1477 e il 1478. Va a Venezia a studiare, forse presso Giovanni Bellini. Forse conosce Leonardo nella città lagunare. Ipotesi, formulate in base al linguaggio dei dipinti. Certa è invece la morte nel 1510, poco più che trentenne, come testimonia una lettera del 25 ottobre di quellanno di Isabella d'Este al suo agente Taddeo Albano. Per peste, come si dice, oppure per «male damore» causato dalla fuga della sua donna con lallievo Pietro Luzzo da Feltre, come racconta nel 1648 Carlo Ridolfi, già mitizzando il personaggio? Si chiamava «Zorzi da chastel fr», come si legge sul retro della famosa Laura del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Detto «Zorzon», cioè Giorgione, per la sua stazza fisica e grandezza danimo, come scrive Vasari nel 1568. Considerato «eccellentissimo» dai contemporanei, era bello, «con una zazzera, come si costumava in que tempi infino alle spalle», una testa «vivace e colorita che par di carne». È ancora Vasari a descrivere lAutoritratto in veste di David di Giorgione, conservato oggi allHerzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig. Un belluomo, senza dubbio, labbra carnose, sguardo dominatore, naso forte, aquilino, ottima chioma.
E le opere? Misteriosissime e bellissime. Documentate ab antiquo sono quelle descritte tra il 1525 e il 1543 da Marcantonio Michiel nelle case dei patrizi veneti, tra cui Laura, i Tre filosofi, il Ragazzo con freccia (Apollo o Eros), la Venere dormiente, La Tempesta, il Ritratto duomo del Museo di San Diego in California. Ma ce ne sono altre, Madonne, Adorazioni, ritratti, soggetti di genere e allegorici, che sono certamente sue per la luce sottile e atmosferica, il colore sfumato che solo un veneto intriso di leonardismo come Giorgione poteva fare.
Opere che si portano dietro enigmi e hanno fatto scervellare gli storici. La Tempesta, ad esempio, ha ispirato interi libri. Descritta da Marcantonio Michiel nel 1530 come «el paeseto in tela con la tempesta con la cingana \ et soldato...» è stata interpretata come allegoria sacra, mitologica, pastorale, come un «capriccio» o come la «famiglia di Giorgione». Non si sa nulla: il significato sibillino era forse compreso solo dal committente e da quella stretta cerchia di umanisti veneziani e padovani, cui doveva far parte lo stesso Giorgione.
E la famosa Laura? La scritta sul retro, che porta la data 1506 e il nome dellautore, Giorgione «collega di Vincenzo Catena» (lavoravano probabilmente nella stessa bottega) e del committente, «messer Giacomo», non illumina più di tanto.
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