Gitai: «Un premio contro il politicamente corretto»

Ieri il regista israeliano Amos Gitai, sempre in prima linea quando si tratta di testimoniare la vita culturale e politica del popolo ebraico, ha ricevuto il Pardo d’onore. «Sono onorato di ricevere questo tributo», ha detto il cineasta classe 1950, nativo di Haifa. Ma l’idillio festivaliero è passato rapidamente dal miele al peperoncino, quando Gitai, di formazione architetto e di vocazione cinefilo, ha chiarito che cosa pensa, realmente, dell’impegno politico al cinema. Tra l’altro, il suo Plus tard tu comprendras (Un giorno, capirai), film già mostrato allo scorso FilmFest di Berlino e proiettato ieri in Piazza Grande, insiste sul tema della memoria e sulla necessità di ricordare, in particolare, le pagine più brutte della storia, mettendo al centro della narrazione una donna ebrea (Jeanne Moreau), che narra al figlio le proprie vicissitudini di internata in un campo nazista. Focus sulle proprie radici, dunque, ma con occhio attento a non scadere nei tipici eccessi delle forzature ideologiche. «Una cosa è il lavoro del regista, un’altra cosa è la sua performance pubblica. Io preferisco parlare di film: il “politicamente corretto” è un avvelenamento del pensiero! Io, poi, nei miei film dico cose delicate, che evocano reazioni», ha spiegato Gitai, ricordando come il regista francese Marcel Ophüls, ai suoi tempi, si sia visto censurare Il dolore e la pietà, «soltanto perché osava affrontare il problema dei collaborazionisti francesi».

E se Steven Spielberg ha fatto notizia, rifiutandosi di collegare il proprio acclarato nome di cineasta all’apertura dei Giochi olimpici di Pechino, date le violazioni dei diritti umani di cui la Cina si macchia, Gitai ha voluto menzionare l’ultimo bel gesto di Jeanne Moreau, oggi ottantenne. «Per il suo compleanno ha chiesto e ottenuto una conferenza sui problemi dell’economia mondiale, da tenersi all’Odeon di Parigi».

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