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Giuseppe e Antonio, uomini soli al comando con destini incrociati

Il premier resta in sella col ribaltone Il mister vuole spodestare la Juventus

Giuseppe e Antonio, uomini soli al comando con destini incrociati

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L'importanza di chiamarsi ... Conte. Da Palazzo Chigi alla Pinetina, un filo giallorosso/nerazzurro ha unito le sorti di due uomini, che in comune non hanno soltanto il cognome. Due pugliesi innanzitutto, alla guida di «squadre» che hanno dovuto liquidare uomini chiave per affrontare la nuova stagione: il governo liberato dallo strapotere di Matteo Salvini, come l'Inter dall'ingombrante presenza di Mauro Icardi&Wanda Nara. C'è stato un punto di svolta nelle parabole di Giuseppe come di Antonio, in questo 2019 chiuso da entrambi al comando. In una settimana, al culmine di un'estate bollente, ecco il big bang che ha dato vita a due universi paralleli. Il 20 agosto al Senato si è giocata la partita di Giuseppe Conte, con il discorso che è diventato il simbolo degli equilibrismi dopo la mareggiata del Papeete. Sulle sabbie mobili della politica restano le sue pochette piuttosto che le felpe intercambiabili di Matteo. Resiste un premier che in apparenza molla la poltrona per poi riaccomodarsi, che usa un linguaggio smussato per tagliare a fette il Capitano ieri alleato e oggi avversario, che traccia il bilancio di un'esperienza conclusa e invece annuncia il programma del «bis». L'avvocato del popolo ci ha preso gusto e adesso veste i panni di tribuno del popolo, che non necessariamente coincide con quello dei 5 Stelle. Scoperto il consenso, il mediatore diventa uomo solo al comando, in fuga magari con un'altra casacca in caso di ritorno alle urne nell'anno che verrà.

Nel capolavoro di Oscar Wilde si legge che «la memoria è il diario che ognuno di noi porta sempre con sé». Il vissuto come libro spalancato, non da rimuovere. Per il Conte premier il passato è stato finora qualcosa da riscrivere, come quel curriculum chiacchierato o una parcella scomoda; per il Conte allenatore il passato sono le vittorie con la Juventus, da capitano prima e in panchina dopo. Qualcosa da rivendicare anche in un ambiente, quello dei tifosi interisti, che nel giro di 90 minuti ha allontanato ogni remora, ha capito che qualcosa è cambiato. Perché il 26 agosto, nel debutto in campionato proprio contro il Lecce a San Siro, è bastato guardarlo agitarsi sul limite dell'area tecnica. Antonio che urla, si sbraccia, rincorre il pallone al posto dei suoi giocatori, esulta, e quando serve entra «duro» nei duelli dialettici con la stampa. L'uomo che nello spogliatoio unisce, fuori continua a dividere. Il 2020 ci dirà se la «scintilla» si trasformerà in «dinamite».

Per far crollare una maggioranza malferma in Parlamento, o in Serie A per sovvertire i rapporti di forza del calcio italiano.

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