Il golpe bianco che serve alla sinistra

Un elemento di violenza è entrato nella politica italiana. È stato il golpe bianco della magistratura a cacciare dalla politica tutti i partiti di governo della democrazia italiana. L’intervento di Berlusconi, nel ’94, fu la risposta democratica al golpe bianco e inventò la soluzione democratica della crisi con il bipolarismo. Su questo piano egli ottenne la collaborazione del Pds di Massimo D’Alema che, per la sua storia comunista, era ben certo che il compromesso fosse l’unica soluzione alla crisi della democrazia che si era aperta dopo il grande vuoto al centro e al centrosinistra. Su quest’asse Berlusconi-D'Alema si è gestita la legittimità democratica in Italia in chiave bipolare.
Ma la crisi si è di nuovo riaperta quando a sinistra si è venuta a creare una concentrazione politica che delegittimava la destra di Berlusconi come antidemocratica, «populista», costruendo contro di essa una sorta di comitato di liberazione nazionale come quello che era sorto contro il fascismo. La base dell’accordo del blocco di partiti che costituisce l’Unione è pensabile solo come unione metapolitica, di là delle differenze ideologiche e culturali. E da ciò nasce la descrizione di Berlusconi e della Casa delle libertà come populismo e semifascismo, la contestazione non del contenuto politico ma della legittimità politica che si reintroduceva la questione che si era aperta con le elezioni del ’94.
Legittimati i partiti storici come corrotti, veniva ora la risposta dell’Unione, che designava Berlusconi come illegittimo, un pericolo per la democrazia. Per la seconda volta, la sinistra poneva un problema di legittimità e metteva in discussione la risposta democratica analizzata da Berlusconi come democraticamente illegittima, populista, semifascista. Al vertice di questa condanna di Berlusconi, i cattolici democratici della Margherita a cui si affiancavano le sinistre antagoniste di varia natura. Rifondazione e le altre forze comuniste non erano forze del sistema democratico ma gruppi che potevano vivere solo ponendosi oltre il limite del sistema.
La crisi della democrazia era stata percepita dai postcomunisti dei Ds, non dalle altre forze. Ne venne che la coalizione antiberlusconiana nel 2005 e nel 2006 fu gestita formalmente nei termini offerti da Berlusconi del bipolarismo ma, d’altro lato, fu una lotta antifascista contro il berlusconismo, cioè contro una soluzione estranea al sistema democratico. Berlusconi era il principio della legittimità democratica della destra e, con questo, della legittimità democratica del bipolarismo. Ma se il conflitto contro Berlusconi poteva giustificarsi solo con una coalizione così politicamente varia, questo voleva dire cancellare Berlusconi come illegittimo e quindi negare la qualità politica della coalizione del centrodestra.
Le elezioni nel 2006 e nel 2007 hanno dimostrato che Berlusconi aveva creato veramente una coalizione democratica di centrodestra nel popolo e lo aveva indotto a schierare per la democrazia tutti coloro che non si riconoscevano nell’alleanza di sinistra antiberlusconi. La divisione del paese diveniva più profonda di quella che era stata la differenza tra democristiani e comunisti dal 1948 in poi.
Appare ora chiaro che delegittimare Berlusconi è delegittimare la maggioranza degli elettori, soprattutto al Nord, ma non solo. Se Berlusconi era un fenomeno alieno alla democrazia, la democrazia poteva cancellarlo. La coalizione antiberlusconiana non regge come tesi politica. Non è soltanto «ribellione del Nord», ma di una vasta parte del paese, dove il simbolo del Mezzogiorno è divenuta Napoli soffocata di mondezza, l’insurrezione dei comuni, la potenza della «casta» politica. Bassolino è l’emblema del meridionalismo della sinistra, di questa sinistra che diversamente dal Pci non può porre la forza della legalità e lascia così spazio alla camorra.
Romano Prodi propone ora se stesso come l’unica scelta legittima del presente e del futuro. I Ds, che con la loro storia postcomunista sono stati la chiave del trapasso dalla prima alla seconda Repubblica non possono ridursi a diventare la corte di Romano Prodi contro la maggioranza del paese. Per legittimare Berlusconi occorre che la Quercia delegittimi Prodi e si dia un’altra forma al governo della Repubblica. Se ancora qualcosa sussiste della storia comunista nei Ds, dovrebbero avere la forza di rispondere no a Prodi ed aprire una strada in cui avvenga la piena legittimazione di Berlusconi.

Prodi, nefasta figura del dossettismo, conduce alla violenza nel paese, tanto da sconsigliare una nuova grande manifestazione di popolo della Casa delle libertà. Ordine politico e rivalità vanno assieme. Bisogna restaurare l’ordine politico ponendo fine al prodismo e alla sua avventura antidemocratica dando spazio alle scelte degli elettori.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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