Franco Fayenz
da Milano
Alzi la mano lesperto che non abbia mai sognato di scrivere una guida critica per formare una discoteca essenziale di jazz. È il sogno di un libro, ovviamente: perché è un libro che ci vuole, e non piccolo. Il jazz è musica che lascia ampio spazio allimprovvisazione: quindi il documento discografico è fondamentale per fissare il faustiano attimo fuggente e tramandarlo. Il prototipo di queste imprese è Jazz On Record di Hanover Books (1968), che sceglieva fra i primi cinquantanni di registrazioni facendole decorrere, secondo una prassi convenzionale, dal 1917. Ma allora la quantità di dischi in circolazione era ragionevole. Non sono possibili paragoni con la mostruosa alluvione attuale. La fatica più recente in materia è unenciclopedia americana, The Definitive Guide to Jazz (Backbeat Books, 2002) di 1500 pagine fittissime.
Ma limitiamo lottica allItalia, altrimenti largomento si allarga troppo; e soprattutto perché è di Jazz! di Carlo Boccadoro appena uscito da Einaudi (312 pagine, 12,50 euro, sottotitolo «come comporre una discoteca di base») che dobbiamo occuparci. Dare consigli discografici è più impegnativo che scrivere una storia della musica o tracciare profili di autori e di interpreti. Ogni cd obbliga a restare in tema, non permette voli di fantasia. Prima di Boccadoro, dalle nostre parti scrissero libri simili Vittorio Castelli e Luca Cerchiari, (Il jazz su disco, Mondadori 1983), e Ivo Franchi (Cento dischi ideali per capire il jazz, Editori Riuniti 2001). Grande coraggio dunque ha avuto Boccadoro perché è compositore, pianista e direttore dorchestra, quindi è entrato «dallesterno» nella cerchia chiusa e diffidente del jazz. Soltanto il jazzofilo che abbia interessi più ampi, specie verso la musica contemporanea, ha seguito Boccadoro e ha letto i suoi articoli dedicati anche ai suoni afro-americani, articoli eccellenti come se lautore non si fosse mai occupato daltro. Così è pure questo libro che è destinato ad essere un punto fermo nella materia.
Boccadoro sceglie più di 250 dischi, a ciascuno dei quali dedica una pagina. Suddivide i protagonisti in 13 categorie strumentali, dal pianoforte ai gruppi misti, e in ciascuna mette i nomi selezionati in ordine alfabetico. La sequenza delle categorie coincide più o meno con quella che si usa per citare la formazione di unorchestra jazz, e quindi aiuta subito a fare chiarezza. Il lettore avveduto coglie con facilità un dato fondamentale e significativo dellopera: la trattazione di ogni disco (prendiamo ad esempio Go - ottima opzione - del sassofonista Dexter Gordon) abbonda di citazioni molto centrate di altri dischi dello stesso musicista. Ciò significa che Boccadoro conosce il jazz in profondità, come è testimoniato anche dal copioso indice dei nomi.
Logicamente, accanto ai consensi non possono mancare i ragionati dissensi. Al posto di Boccadoro, non avrei omesso Phineas Newborn jr. ed Henry Threadgill (ma per questi egli sembra quasi scusarsi nella premessa) né il mai nominato pianista Kenny Barron, protagonista in duo con Charlie Haden di un capolavoro assoluto quale Spring is Here. Trovo singolare che lautore, data larea culturale da cui proviene, non abbia preso in esame il fenomeno costituito dallindimenticabile Friedrich Gulda (anche lui mai citato) che mise sempre più a rischio la propria reputazione di sommo pianista classico per fare luogo, nei suoi concerti, anche al jazz: viene da pensare che Boccadoro non gradisca i mixaggi. Splendida è invece la pagina riservata al nuovo astro pianistico dellultimo decennio, Brad Mehldau, del quale viene lodata la bellezza del tocco, luso della pedalizzazione, le sottolineature armoniche. E sono senzaltro da condividere le parole dedicate a sassofonisti meravigliosi come Serge Chaloff e Paul Desmond che oggi rischiano loblio.
Ma queste coincidenze o diversità di opinioni sono normali: conta il fatto che ladesione allopera nel suo insieme sia totale, e pagina dopo pagina diventi ammirazione.
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