Politica

Governo, tutti i grattacapi del Professore

Parisi, Brutti e Minniti si contendono gli Interni. I Dl: «È tutto in alto mare»

Laura Cesaretti

da Roma

L’unica cosa chiara, ieri sera nell’Unione, era che per la prima volta dopo la settimana di passione sulle presidenze delle Camere si stava mettendo mano sul serio alla lista dei ministri.
«Abbiamo vinto due a zero», gongolava Romano Prodi piombando come un fulmine a Palazzo Madama subito dopo l’elezione di Franco Marini. «Ora ci aspettiamo l’incarico subito da Ciampi», confidava il prodianissimo Giulio Santagata. La ridda degli incontri è iniziata immediatamente: Prodi e Rutelli, Fassino e D’Alema, Prodi e Fassino, Prodi e Parisi, Rutelli e Parisi. Ma al calar del sole l’entusiasmo delle aspettative di Santagata sembrava subire una frenata. I ds non avevano apparentemente sciolto le loro riserve: D’Alema conferma la disponibilità per la Farnesina ma non darà risposta «prima di mercoledì», dicono i suoi, dopo aver discusso con la segreteria della Quercia «l’equilibrio complessivo» dei futuri assetti di partito e governo. Neppure le caselle dei vicepremier a Fassino e Rutelli risultavano ancora assegnate in via definitiva. Il Viminale, finora attribuito alla Margherita (Parisi?) tornava a ballare: «Lo chiedono i ds, per Brutti o Minniti, e bisognerà darglielo», dicevano in casa dl. «Tutto in alto mare», era il refrain. Certo, spiegavano dal quartier generale del premier in pectore, «il Professore non torna a Bologna per il weekend, resta a Roma per sistemare tutte le caselle del governo e sarà pronto la prossima settimana». Certo, si assicurava, Prodi è ancora ragionevolmente certo che, visti i numeri inequivocabili della maggioranza al Senato, l’incarico possa essergli assegnato dal presidente in carica subito dopo le dimissioni di Berlusconi annunciate per martedì e la costituzione dei gruppi parlamentari, tra il 4 e il 5 maggio. Ma sulle reali intenzioni di Carlo Azeglio Ciampi nessuno se la sente di fare previsioni. Il forte timore che si registra tra i prodiani e nella Margherita è che l’incarico al Professore non arrivi in tempo utile, e che la partita per il Quirinale si apra prima che il governo sia formato. Avverte un alto dirigente del partito rutelliano: «Andare a scegliere il nuovo presidente senza avere Prodi a Palazzo Chigi e la vicenda del governo chiusa, vorrebbe dire passare almeno venti giorni di massacro peggio di quelli del Senato, perchè non abbiamo un candidato unitario nè un metodo di trattativa con la Cdl già preparato». Il timore dei dl trova autorevole avallo nelle parole di Antonio Maccanico: le grandi difficoltà incontrate dall’Unione nell’elezione di Franco Marini «non incoraggiano il presidente» ad accelerare i tempi, anzi rendono «più difficile» la scelta. E dal Botteghino si conferma che la questione «è ancora aperta, e assai complicata», e che non c’è alcuna intenzione di «forzare la mano» a Ciampi per accelerare. Anche perchè, ragiona il dalemiano Latorre, «non è vero che per il centrosinistra sia più rischioso andare al voto per il Quirinale prima di aver insediato il governo: i rischi ci sono sempre e comunque». D’altronde, ancor prima della decisiva votazione su Marini, Piero Fassino aveva già annunciato che «i tempi del governo sono una prerogativa del presidente della Repubblica», cui va lasciata «libera e autonoma valutazione» nel «decidere sul calendario istituzionale». E in ogni caso, aggiungeva il segretario ds lanciando un segnale di appeasement alla Cdl, «bisogna evitare di fare di questa questione una nuova ragione di inutili tensioni e conflitti».
Molte voci, dentro l’Unione, accreditano l’idea che ci siano due linee diverse nel centrosinistra: quella di Prodi che ha fretta di insediarsi blindando il suo governo per poi lanciare Giuliano Amato verso il Colle, e quella dei ds che invitano prima a cercare un «dialogo» con la Cdl sul Quirinale, una partita nella quale la Quercia (con D’Alema in prima fila) vuole ancora provare a giocare le sue carte. Senza escludere che il punto di caduta possa essere un rinnovo del mandato a Ciampi, che per i ds esclusi da ogni carica istituzionale sarebbe di certo un’opzione meno umiliante del dover dire sì ad Amato. «Il metodo-Ciampi fu adottato da me», sottolinea D’Alema. «Fui io a consultare Berlusconi». Quindi, «credo che questo sia il metodo giusto. Naturalmente, bisogna che l'opposizione sia disponibile al confronto.

Cercare una convergenza con chi non è disponibile non è possibile».

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