Un Grillo nato per distrazione politica

Un disagio profondo mi impedisce, in questo periodo, di essere sereno nei giudizi, specialmente quando questi toccano - cosa inevitabile per uno scrittore - il nostro Paese e il suo destino a breve e medio termine, per non parlare del lungo. Ho seguito all’inizio con un certo divertimento e poi con sempre maggiore sgomento, tutta la vicenda cominciata con il «vaffaday» di Beppe Grillo e continuata con le prese di posizione dei politici, soprattutto di sinistra.
Non ho mai avuto nessuna simpatia per Grillo men che meno ora. Il suo linguaggio ricorda troppo da vicino quello studiato dalla propaganda di partito del tempo che fu, e che conta, tra i suoi precetti, quello secondo cui per gettare discredito su qualcuno bisogna insistere su un particolare laterale, non pertinente, purché negativo. Il linguaggio di tanti comici, specialmente quando fanno satira, si è alimentato anche a questo tipo di scuola, ed è la sola lingua che gran parte della sinistra (ma non escludiamo anche qualcuno a destra) riesca a sentire come visceralmente propria.
Il discredito. Ecco il punto. Siamo arrivati al discredito gettato non più da una parte politica contro l’altra, ma da un cittadino contro tutta la classe politica, persino la propria (perché lo schema è: parlar male degli amici, figurarsi dei nemici). Ora, questo cittadino ha riscosso, mediante l’uso di una lingua nota, riconosciuta, un grande successo. E si atteggia a rappresentante diretto dei cittadini, una specie di tribuno. La mia riflessione parte da qui. Mi domando: quand’è che sorgono questi improvvisati tribuni? Quali circostanze rendono possibile un simile fenomeno? Non basta la scontentezza: ci vuole una situazione di emergenza, una situazione da allarme rosso.
I tribuni-buffoni, i tribuni-ciarlatani, i tribuni-saltimbanchi emergono quando il patto tra politica e cittadini non esiste più, quando i politici non trovano più il Paese, non sanno dov’è finito, non hanno più la minima idea di quale Italia stanno rappresentando, e allora si affidano al teatro, alla necessità di apparire, figurare in tv e sui giornali, alla cura esclusiva dei propri interessi. Quando ho sentito Napolitano criticare la politica-spettacolo non mi sono sentito in disaccordo con lui, però dicevo tra me: come pensa di tirare indietro le lancette degli eventi con un semplice richiamo morale? E lo fa, ironia del destino, proprio nei giorni in cui il ministro Turco esalta le equivoche immagini di Oliviero Toscani contro l’anoressia - ennesimo passo verso la totale assuefazione dei cittadini alla violenza.
A me i dibattiti e i litigi tra politici sono sempre piaciuti. Ma oggi non siamo più né al dibattito né al litigio: siamo al punto da doverci domandare se sappiamo ancora di che cosa stiamo parlando. Ho ascoltato le dichiarazioni di politici antipatici e politici simpatici (a me, per esempio, è simpatico Fassino), ma intanto continuavo a chiedermi se c’era qualcuno che avesse una minima idea concreta di cosa sia l’Italia di oggi. Di tanto in tanto ce n’è qualcuno che ne cattura un pezzo, e diventa un tribuno: Grillo ha catturato quel pezzetto di Italia che si sintonizza automaticamente sul suo linguaggio: un pezzetto di Italia moralista e di sinistra, educato a un’idea eticista del fare politica («il governo dei buoni»), cui le regole della democrazia - che è più cinica ma più dolorosamente imparziale - stanno leggermente strette.
Ma il problema che si è aperto è grave. Il disagio dipende da questo spaesamento. È un problema che riguarda la politica quanto l’informazione. L’Italia ci appare silenziosa, o forse noi siamo troppo lontani e non ascoltiamo il suo racconto, il racconto di quell’Italia che esiste, è forte, lavora, produce, crea, e di cui non parla mai nessuno: quell’Italia che né la politica né i mezzi d’informazione sembrano interessati a rappresentare. Per cui basta un Beppe Grillo, una miss Italia, un delitto a Garlasco, e per settimane non esiste più nient’altro di cui parlare. Dobbiamo tornare a raccontare questo Paese, ma dobbiamo prima saperlo leggere, e per leggerlo dobbiamo cercarlo e trovarlo. Senza questa fatica, persino i dati statistici rischiano di rimanere muti, illeggibili.

Dobbiamo fare la fatica di frequentare strade diverse, imboccare vie a noi non abituali, e dobbiamo farlo in fretta, perché quando si verificano fatti come questi è segno che il tempo rimasto è poco, e la faccia paciosa di chi sta a capo del governo non rassicura più nessuno.

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