Guaccero: eccomi, verace come Magnani e Cardinale

L’attrice oggi e domani su Raiuno con «La stella della porta accanto»

da Roma

«Passavamo in macchina davanti al teatro Ariston di Sanremo. C’era un mare di gente che mi applaudiva. Allora ho gridato all’autista “Fermi! Fermi!”, sono scesa, e mi sono gettata nel mio primo bagno di folla. Ho pensato: un’occasione simile quando mi ricapita più?». Non sappiamo se ci sarà ancora, come al Festival di Sanremo, una folla che acclamerà Bianca Guaccero. Di certo la carriera di questa pugliese dagli occhi di velluto è in continua ascesa (ultimo titolo La stella della porta accanto, in onda stasera e domani su Raiuno) e singolarmente destinata a ripercorrere le tracce di altre indimenticabili more del nostro cinema: la Anna Magnani di Assunta Spina che ha interpretato in tv, la Cardinale del Gattopardo che ha recitato in teatro e la Marisa Allasio di Poveri ma belli che rivivrà in musical, debutto previsto al Sistina di Roma a metà novembre.
Ma lei cos’ha in comune con queste grandi?
«Per carità: assolutamente nulla! Non posso neppure tentare confronti. Diciamo che forse in me c’è una spontaneità che può ricordarle. Io non cerco a tutti i costi di piacere. Io sono verace. Sono come il pane col pomodoro».
Anche in La stella della porta accanto è così poco autocompiaciuta?
«Soprattutto! Interpreto Stella, un’addestratrice di cani simpatica ma casual, un po’ Bridget Jones un po’ Mary Poppins, che diventa per caso la baby sitter dei bambini d’un fascinoso diplomatico - Giorgio Lupano - divenuto vedovo e indurito con se stesso e coi figli. È una commedia sentimentale, semplice come un bicchier d’acqua. Perché, come diceva mia nonna, “L’acqua è semplice; ma è l'unica cosa che disseta davvero”».
Le storie semplici rischiano anche di risultare banali...
«Se fatte senza amore, senza motivo. In questa invece c’è cuore, sensibilità, e un modo di raccontare chiaro e diretto. È una favola che unisce il sentimento all’ironia: fa ridere e commuove. Non è poi così semplice risultare semplici!».
Storie drammatiche, sentimentali, brillanti, il Festival di Sanremo. Cosa le manca per definire la sua carriera completa?
«Il musical. Ma anche questo lo farò presto: con la regia di Massimo Ranieri stiamo preparando la versione teatrale di Poveri ma belli con le musiche di Gianni Togni. Ballerò e canterò ben dieci canzoni, su una trama che ricalca solo in parte l’originale, deviando poi verso tempi e stili moderni».
I suoi ruoli e le sue interviste lasciano intuire in lei un carattere volitivo, esuberante, ambizioso. È esatto?
«Esuberante senz’altro: ho la fortuna di fare un lavoro che non farà mai morire il mio lato bambino. Volitiva sì, anche se senza merito: sono così perché il mio lavoro mi diverte da morire. Ambiziosa? Non saprei: di solito non faccio progetti e non penso al futuro, preferisco vivere nel presente, godendomi tutto ciò che la vita mi regala».
A quale qualità recitativa tiene di più?
«Anche qui: alla semplicità. È sui set che ho imparato che la semplicità è il più difficile degli artifizi. Per questo cerco di lavorare tanto, di lavorare sempre: ci si arriva solo studiando, faticando, imparando».
Il momento più brutto e il più bello della sua carriera.
«Il più brutto: la mattina che, a Sanremo, mi sono svegliata senza voce.

Rimanere senza voce al festival: il massimo! Ma mi è servito per imparare una regola d’oro: quando hai un problema non nasconderlo, cerca invece di trasformarlo in un vantaggio. Così ho recitato e cantato con la voce roca, facendone quasi una cosa sexy».
E il più bello?
«Quello che sto vivendo al momento. Sono un tipo positivo, io. Forse per questo sono stata tanto fortunata».

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