Guglielmo di Malavalle

Era un soldato francese di vita notevolmente dissoluta. Un giorno, pentitosi, andò a Roma per chiedere l’assoluzione al papa Eugenio III. Oggi se la caverebbe con poco. Ma si era nel XII secolo e il papa lo mandò pellegrino a Gerusalemme. Quello, che forse aveva anche qualche omicidio sulla coscienza, si aggiunse di sua iniziativa altri otto anni di pellegrinaggi in vari luoghi. Finalmente nel 1153 si fermò in Toscana a fare l’eremita. La sua santità gli attirò discepoli, con i quali si stabilì presso Pisa. Ma la loro rilassatezza lo fece allontanare sul monte Pruno. Anche qui, altri discepoli, altre delusioni e altra fuga. Se ne andò vicino a Siena, in un posto desolato detto Malavalle. Si piazzò in una grotta e si diede alla penitenza vivendo di sole radici. Il sire di Buriano, che lo venerava, gli fece costruire una cella. Qui lo raggiunse un primo discepolo, Alberto, il quale non era affatto in grado di imitare il suo maestro nell’ascesi. Si accontentò di vivergli accanto e di esserne, poi, il biografo. Venne anche un medico, Rinaldo. Quando Guglielmo morì, nel 1157, ai due discepoli se ne unirono altri e sulla tomba del santo venne eretta una cappella. La comunità continuò a crescere, tanto che fu necessario costruire un eremo accanto alla cappella.

I monaci furono chiamati Eremiti di San Guglielmo o guglielmiti e, col tempo, si sparsero per tutta la penisola. Fu il papa Gregorio IX, nel secolo successivo, a ufficializzarne la regola (dopo averla notevolmente moderata perché i guglielmiti tendevano, quanto ad austerità, a imitare il loro fondatore).

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