Roma La denuncia penale dopo le polemiche. Passa pure per la Procura di Roma la bufera politica, bipartisan, abbattutasi su Antonio Di Pietro, accusato di aver offeso il capo dello Stato. Così, dopo critiche e distinguo, anche tra i suoi, è l’Unione delle Camere penali italiane a sporgere denuncia contro il leader dell’Italia dei valori. Ieri mattina, infatti, il presidente dell’Ucpi, Oreste Dominioni, e il suo vice, Renato Borzone, hanno depositato un esposto contro l’ex Pm per «delitto di offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica, contemplato dall’articolo 278 del codice penale, nonché ogni altra ulteriore ipotesi criminosa che dovesse essere ravvisata».
Nel mirino «giudiziario» finiscono così alcune dichiarazioni pronunciate mercoledì scorso da Di Pietro a piazza Farnese, durante la manifestazione organizzata dall’Associazione nazionale dei familiari delle vittime della mafia. Ad esempio, «Il silenzio uccide», «il silenzio è un comportamento mafioso» e «a volte il suo giudizio», riferito a Napolitano, «ci appare poco da arbitro e poco da terzo».
«Accusando il presidente della Repubblica di comportamenti non imparziali e omissivi assimilati a quelli di natura omertosa propri della mafia, l’onorevole Di Pietro - sostengono le Camere penali - ha oscurato la limpidezza morale e il credito di cui devono essere necessariamente circondate le attribuzioni del capo dello Stato, delegittimandolo nella persona e nella istituzione che rappresenta».
La reazione politica, prima ancora della parentesi legale, è stata immediata e non accenna a placarsi. Passano pochi minuti, dall’intervento di Di Pietro dal palco, quando Gianfranco Fini sottolinea in aula: «È lecito e naturale il diritto di critica politica, ma questa non può mai travalicare il rispetto che si deve al presidente della Repubblica, che rappresenta tutta la Nazione al di là del fatto che sia stato eletto o no all’unanimità».
La condanna è generale, senza distinzione di casacca. E il Quirinale diffonde una nota durissima, in cui bolla come «del tutto pretestuose» le «offensive espressioni» usate da Di Pietro per contestare «presunti silenzi del capo dello Stato, le cui prese di posizione avvengono nella scrupolosa osservanza delle prerogative che la Costituzione gli attribuisce». Di Pietro prova a difendersi («non ho mai offeso, né inteso offendere» Napolitano), replicando a muso duro: «Mi amareggia molto l’oggettiva disinformazione» del Colle. Ma Tonino rimane solo.
A bacchettarlo è pure Walter Veltroni: «Le sue frasi e gli striscioni esibiti - afferma il segretario del Pd - sono inaccettabili e inqualificabili». A farsi portavoce della «solidarietà» del Senato è poi Renato Schifani, applaudito anche da alcuni esponenti Idv.
Il mattino dopo, Di Pietro torna alla carica: forse Napolitano «avrebbe fatto meglio a stare lì e ascoltare quella piazza», mentre il suo capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, prende le distanze: «Strumentalizzato», ma sul capo dello Stato «sicuramente ho un’opinione diversa».
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