In «Homeland» il nemico vive fra noi

S ono trascorsi otto anni da quando si son perse le tracce del sergente dei marines Nicholas Brody. Per tutto quel tempo è stato nelle mani di Al Qaeda. Ma ora un raid della Delta Force lo ha liberato. E le autorità americane possono organizzare il suo rientro in patria con tutti gli onori. Solo l’agente della Cia Carrie Mathison nutre forti sospetti sull’eroe di guerra. È lui il soldato convertito all’Islam di cui le ha spifferato qualcosa un prigioniero iracheno? Il reinserimento del reduce, che i politici vogliono arruolare in un nuovo tipo di schieramento, è avvolto da insidie e diffidenze. Nicholas si accorge che nemmeno dentro le mura di casa tutto è filato liscio e, in sua assenza, la giovane moglie si è consolata col suo grande amico. Sono proprio il sospetto e la diffidenza i protagonisti di Homeland - Caccia alla spia (Fox, lunedì ore 21,50, 12 episodi), la serie tratta dalla israeliana Hatufim e prodotta per il canale Showtime dagli stessi autori di 24. Chi è veramente Nicholas Brody? Che cosa ha fatto durante tutti quegli anni? Come è morto il suo compagno di missione? Sono le domande che trasformano la storia in un thriller sull’America post-11 settembre. L’investigatrice della Cia soffre di disturbi dell’umore, il marine è pieno di ombre e di scheletri da tenere nascosti, l’amico ha un doppio volto.

A differenza di 24, qui la partita è psicologica, giocata sul tema dell’identità e della fiducia nell’altro, un potenziale nemico mimetizzato fra noi. Ne esce un quadro perfetto dell’America odierna, insicura, infiltrata dalle insidie, minacciata dal terrorismo al suo interno, fin dentro il corpo dei marines.

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