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I 50 anni di Coe, la farfalla diventata baronetto

Due ori olimpici a Mosca e a Los Angeles sui 1500, otto record mondiali. Ha un ruolo nella Fifa e sarà capo dei Giochi di Londra nel 2012

Oscar Eleni

Per chi ha sempre tifato Steve Ovett, la roccia di Brighton, il discolo nel regno dei fenomeni con le ali ai piedi, non è facile soffiare sulle 50 candeline che festeggiano il compleanno di Sebastian Newbold Coe, pari dell’impero, barone dall’anno 2000, quando già non correva più dietro la gloria in pista, ma diventa doveroso perché bisogna pur inchinarsi a chi ci ha fatto comunque fremere, urlare, ad un campione straordinario.
Ha vinto così tanto, le Olimpiadi di Mosca 1980 e Los Angeles 1984 sui 1500, è stato così bravo, 8 primati del mondo nel mezzofondo veloce dagli 800 al miglio, passando per i 1000 e i 1500, 3 record indoor, così bello e spietato, ironico e ieratico che abbiamo finito per volergli anche bene, orgogliosi di vederlo entrare nel Parlamento inglese per il Partito conservatore nel 1992, felici di sapere che ai Giochi di Londra del 2012 sarà il padrone di casa, mai stupiti di averlo visto coinvolgere anche dal calcio, dalla Fifa, come presidente della commissione Etica per gli atleti, ma era nelle piste di atletica che questo principe rubava l’attimo fuggente.
Leggero come una farfalla, ma solido dentro, questo londinese nato a Chiswick, West London, resistente nelle lunghe volate sui finali degli 800 metri, che erano il suo regno anche se il padre Peter che aveva studiato allenamenti speciali per quel suo ragazzo elegante, ma leggero, 56 chili per 1.76 di altezza, lo aveva portato oltre i confini della resistenza, anche se poi, sul doppio giro di pista, ha vinto «soltanto» l’europeo del 1986 a Stoccarda, tenendosi però il record del mondo (1’41”73 in una meravigliosa notte fiorentina) dal 1981 fino all’agosto del 1997 quando arrivò Wilson Kipketer, keniano adottato nel 1990 dai danesi.
Fu proprio nel crogiolo olimpico delle battaglie con Ovett su 800 e 1500 che imparammo a conoscere i tre lancieri della regina, ragazzi inglesi nati sotto il segno della bilancia, Steve il ribelle il 9 ottobre 1955, Sebastian il 29 settembre 1956, Steve Cram, biondo di Gateshead, uomo del Nord, nel 1960, 14 ottobre, leoni nati sotto il segno della bilancia che diedero un senso all’atletica spettacolo, rivali che non risparmiavano niente agli avversari, che non volevano essere amici, ma che sapevano bene di poter vivere da lord soltanto in battaglie che dividevano la stampa inglese e, come vi abbiamo già detto, anche quella del mondo.
Lo scontro epico fra Coe ed Ovett diede colori stupendi allo stadio Lenin di Mosca. Era l’anno bisestile 1980, Olimpiadi del boicottaggio americano. I duellanti, proprio come nel 1977 Ridley Scott vedeva al cinema Keith Carradine ed Harvey Keitel, si sfidavano nella gara che piaceva al rivale. Prima gli 800. Sebastian Coe era il favorito, primatista mondiale ad Oslo nel 1979, l’anno in cui in 41 giorni battè 3 record assoluti. Una volata sporca, di quelle dove vedi tutta la tua vita sportiva, i due si erano affrontati l’ultima volta sulla distanza agli europei del 1978, pista fredda di Praga quella del doppio oro di Mennea, Ovett davanti a Coe, ma Beyer davanti a tutti e due. Steve attacca e Sebastian aspetta, la roccia di Brighton si fa largo a gomitate, rischia la squalifica, vede la luce, Coe va all’esterno, prova l’assalto fuori dalla mischia, dai colpi duri, ma è tardi, alle 19.27 del 26 luglio deve inchinarsi al nemico, ma lo fa alla sua maniera: «Domani è un altro giorno, ci sarà un’altra battaglia».
Appuntamento alla finale dei 1500, la gara di Ovett, che ha vinto 42 gare consecutive sulla distanza metrica e sul miglio, imbattuto da 3 anni. Una guerra mediatica, battaglia di nervi, la rivincita. A 200 metri dall’arrivo, in quella sera moscovita del 1° agosto, mentre i colleghi inglesi, reduci da tristi sbronze, nostalgia, ma anche orogoglio, discutendo di una rivalità che coinvolgeva tutti, si agitavano vedendo Coe, dietro al tedesco dell’Est Straub, 2 metri avanti ad Ovett. Sull’ultima curva attaccano quasi nello stesso momento, ma il barone aumenta ancora ad 80 metri dalla fine e passa il traguardo allargando le braccia come un Cristo redento, mentre Ovett non riesce a superare il solido tedesco. Coe si mette in ginocchio e bacia la pista: «Forse qualcuno, in qualche parte, ha voluto farmi sapere che mi ama. L’atletica è una grande cosa perché in ogni gara è come se affrontassi una mano di poker, tu sai cosa hai in mano, anche se sono cartacce devi fingere di essere pronto a tutto».
Così è stato e quando Coe, 4 anni dopo ha rivinto il titolo dei 1500 a Los Angeles, battendo questa volta Steve Cramm, entrando nella storia per la magica doppietta olimpica, Ovett era diretto all’ospedale per un serio problema ai bronchi, mentre il barone aveva ancora la forza per correre verso i banchi della stampa dove aveva qualcosa da chiedere: «Chi ha detto che ero finito?». Il tipo era questo, è ancora così adesso. Bello ed impossibile.

Comunque mille auguri sir, un campione che non puoi dimenticare anche se tifavi per il suo avversario.

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