I banditi conoscevano i segreti del convento

da Cuorgné (Torino)

Almeno uno dei malviventi che hanno massacrato di botte quattro frati per farsi consegnare i 170 euro delle offerte era già stato al convento di San Colombano Belmonte. È questo uno dei pochi dati certi sui quali si basano le indagini dei carabinieri di Torino: il modo in cui la banda ha agito e si è mossa all'interno della struttura di Belmonte, denota una certa conoscenza della disposizione delle stanze, e degli orari seguiti dai frati per scandire le loro giornate.
Sono da poco passate le 19.30 quando i tre malviventi si introducono nel convento scavalcando il muro di cinta, ed entrano da una porta appena socchiusa, perché, come dicono i religiosi, «la casa del Signore è sempre aperta». A quell'ora, come tutte le sere, Padre Sergio e suoi confratelli Martino, Emanuele e Salvatore stanno cenando in refettorio. Sicuri di non essere visti, i rapinatori si dirigono nelle celle per cercare soldi e oggetti preziosi, ma trovano solo pochi spiccioli. Delusi, infuriati, forse con il cervello annebbiato da qualche pasticca, percorrono il corridoio che li porta alla legnaia e probabilmente in quel momento scatta il piano del massacro. Si armano di bastoni, indossano i guanti usati per tagliare la legna, tornano in refettorio e si trasformano in bestie scatenate. Si aggirano sicuri tra le stanze del convento: la conoscenza esatta della loro disposizione è una conferma che almeno uno di quei banditi si era già recato al San Colombano, spacciandosi per un pellegrino o un bisognoso. E forse aveva parlato con padre Sergio. Questo è un particolare importante: significa che le vittime potrebbero riconoscere i loro aguzzini. Ecco forse perché i banditi erano incappucciati e solo uno di loro ha pronunciato poche parole in un italiano che potrebbe essere falsamente stentato. «Hanno la pelle bianca - ha riferito Padre Sergio prima di cadere in coma -. Volevano ammazzarci». Difficile stabilire se i rapinatori fossero veramente stranieri, ma gli indizi fanno supporre che conoscessero le vittime e il convento.
La violenza da «Arancia meccanica», le botte inutili ai quattro frati inermi - di cui tre anziani - fanno pensare a un raptus vendicativo nei confronti di chi non aveva il denaro che i malviventi si aspettavano Su padre Sergio Baldin il commando si è accanito in maniera particolare perché era il più giovane: 49 anni portati su un fisico massiccio e temprato dalle missioni all'estero. Ed è stato l'unico che ha cercato di difendere i suoi confratelli.
Intanto in tutta Italia non si ferma la caccia all'uomo e proseguono i rilievi tecnici all'interno del convento e nell'area adiacente. I carabinieri di Torino stanno passando al setaccio tutte le persone che in questi ultimi mesi hanno avuto contatti con i religiosi, cercando di capire se qualcuno potesse avere del risentimento verso di loro. Ma, nella piccola comunità di Valperga Canavese, tutti hanno grande stima per quei frati che da oltre 200 anni sono il simbolo del Sacro Monte. Una svolta potrebbe arrivare tra qualche giorno, quando Martino Gurini - il frate che ha riportato meno ferite e che dall’ospedale fa sapere di aver già perdonato i suoi aggressori - potrà accompagnare gli inquirenti sul luogo del massacro. Anche per questo i biglietti contro i preti e il Vaticano, trovati giovedì all'esterno del santuario, vengono considerati dagli inquirenti «un atto di sciacallaggio, che nulla ha a che fare con la violenza subita dai religiosi».

Da tutta Italia sono arrivate telefonate e telegrammi di solidarietà nei confronti dei frati che si trovano ancora in ospedale. Domani sarà il cardinale Severino Poletto a celebrare la messa al santuario di Belmonte: un momento di preghiera per le vittime ma anche un segno di condanna contro gli autori di tanta violenza.

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