Caro direttore,
scrivo in qualità di giornalista, ma soprattutto come essere umano indignato di quanto ascoltato durante la trasmissione Otto e mezzo condotta da Giuliano Ferrara su La 7 mercoledì sera (22/3/2006).
In studio, il segretario dei Radicali Capezzone e il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi discutono animatamente sul tema dell'eutanasia infantile, partendo dal fatto che in Olanda (primo Paese europeo ad autorizzare l'eutanasia, con una percentuale di 4.000-5.000 morti all'anno, equivalenti al 3,5% dei decessi totali nel Paese), ogni anno centinaia di neonati vengono soppressi dai medici in quanto «giudicati non idonei a condurre una vita normale», oppure in previsione di «un'esistenza caratterizzata da troppe sofferenze».
In primis mi interrogo sulla completa mancanza di informazione da parte dei media e della stampa italiani in merito all'evoluzione (o involuzione) legislativa olandese relativa appunto all'eliminazione di adulti e bambini privi di «vite degne di essere vissute». In secondo luogo mi chiedo se sia giusto che all'interno di un Paese quale è l'Europa si possano accettare tali soluzioni che, come dichiarato da Giovanardi lo scorso 19 marzo, «colpiscono al cuore la difesa di ogni essere umano, sano o malato, ricco o povero, uomo o donna, intelligente o ritardato mentale, così come 2000 anni di Cristianesimo hanno radicato nella coscienza popolare».
Come si può avere l'arroganza di legiferare su situazioni e circostanze che ogni volta sono uniche e diverse, come diverso è ogni essere umano? E da chi proviene questa arroganza? In coscienza posso rispondere: da uomini (politici) che non hanno di certo vissuto esperienze analoghe, che forse non hanno mai conosciuto il VERO valore della vita, pur imperfetta o dolorosa che sia.
Durante la trasmissione è stato affermato che in Olanda la pratica legale dell'eutanasia infantile è partita da un caso di EB Hallopeau Siemens, a causa della quale un bimbo non poteva essere alimentato «via sondino» perché si «staccava» la mucosa dall'esofago...
Mio fratello Daniele è nato nel 1980 affetto da una brave forma di Epidermolisi Bollosa (malattia molto simile alla Hallopeau Siemens). Al momento della sua nascita i medici gli avevano pronosticato pochi giorni di vita, poi pochi anni. Alla fine ne ha raggiunti quasi 19. Sofferenze indicibili? Certo, sofferenze, ma la soglia del dolore è diversa da persona a persona, la medicina aiuta e conta di più la gioia di ogni giornata trascorsa rispetto alla sofferenza fisica quotidiana.
Come può un medico giudicare quale sarà la qualità della vita di una persona? Ci saranno ospedali, operazioni, medicazioni costanti, malformazioni, ma ci sarà soprattutto VITA: amici, gioie, felicità, un'intelligenza viva e generosa, una sensibilità estrema, una delicatezza di sentimenti, un godere la quotidianità e gratificare le persone care. Un'esperienza UNICA di vita, per il malato e per tutti coloro che lo circondano.
A circa 6 anni, Daniele ha affermato che c'è una bella differenza tra chi vive in terra e chi è felice tra gli angeli... Questo a proposito di un'amica suora che diceva come il Signore fosse stato compassionevole e avesse accolto fra gli angioletti una bimba gravemente malata. Nel corso degli anni, la sera spesso diceva di «essere felice». Solo negli ultimi giorni di vita, oramai consapevole di essere arrivato al traguardo, si era chiesto, con ovvia sofferenza: «perché si DEVE morire?». Il suo desiderio era VIVERE! Ed era felice. Anche nella realtà della sua qualità di vita (che mai nessuno avrebbe definito inaccettabile).
Alla luce dei fatti e delle leggi, in Olanda lui sarebbe stato soppresso subito. Eppure, qualsiasi malattia, stato di sofferenza e disabilità, in una sola parola: «diversità», spesso accrescono i valori umani, generando un dare e un ricevere unico, che arricchisce chi gravita attorno a questo «grumo» di Amore.
La realtà degli ospedali italiani? Avendone avuto alta frequentazione, posso affermare che tra i nostri medici vi è un grande senso etico e umano. Nessun dottore attua accanimento terapeutico né su un neonato né su un bambino, ma dove c'è legittima speranza di sopravvivenza è giusto tentare. E il rispetto per una vita che si sta spegnendo, in Italia consente ai genitori di portarsi a casa il proprio figlio. Questa non è «eutanasia clandestina», come affermato da una dottoressa olandese presente in studio ieri sera, ma è semplice rispetto per la vita e per la morte, per la sofferenza e per la dignità.
Visitare i nostri reparti pediatrici dovrebbe essere obbligatorio almeno una volta all'anno per i politici, ma soprattutto per i giovani, per vedere che insieme alla sofferenza possono convivere amore, solidarietà e gioia di vivere.
Neonati che non hanno speranza di sopravvivere? La giornalista Armeni sottolinea in studio come il problema sia «compassione e rapporto con il dolore». Ma compassione per chi? Per i genitori? In merito al dolore, con i mezzi della moderna medicina oggi «può» anche non esistere; sono enormi i traguardi raggiunti durante questi ultimi anni. Per cui non ci si venga a parlare di sofferenze fisiche indicibili!
Durante il programma vengono spesso citate malattie quali «spina bifida» e «down» quali patologie «insormontabili». Si tratta certo di malattie dure, a volte devastanti, ma fortunatamente con possibilità di ottimo recupero.
Una legge come quella sull'eutanasia infantile dovrebbe essere «decisa» da genitori che abbiano o stiano vivendo unesperienza simile a quella vissuta con Daniele dai miei.
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