I minatori cileni dopo il salvataggio: ora battono cassa

Dimenticata la retorica del sobrio lavoratore, i 33 recuperati dall'abisso della miniera di San Josè cercano ora di monetizzare la loro vicenda, spesso senza ritegno

Roberto Fabbri
Quando erano chiusi a chiave nell'abisso, a settecento metri dalla superficie nella miniera franata di San Josè, i trentatré minatori cileni stupivano il mondo non solo per lo stoico coraggio con cui affrontavano il rischio di una fine da incubo, ma anche per la loro ostentata adesione a valori di sobrietà. Nessuno di loro, in altre parole, si sognava di accennare a un nesso tra la sventura in corso e un ritorno economico da ottenersi a lieto fine avvenuto. Semmai, le loro dichiarazioni dalle viscere della terra erano improntate a nobili pensieri per le famiglie lontane, a composti desideri di ritorno alla vita di sempre, tra affetti e gusti semplici.
Ma la vicenda del più spettacolare salvataggio del secolo sembra voler dimostrare che la retorica dei puri non regge alla lusinga del denaro. Per non dire della fine che fanno le assicurazioni di sobrietà. Riassumiamo. Lo scorso 14 ottobre, dopo settanta lunghi giorni, i prigionieri più famosi del mondo rivedono la luce (si fa per dire, perché i loro occhi non più abituati sono protetti da lenti scurissime) in un tripudio di flash, telecamere e fanfare piazzati all'uscita del tunnel di salvataggio. Sono immediatamente fatti oggetto di un love bombing che gli piomba addosso da ogni direzione: familiari, presidente della Repubblica e politici di ogni ordine e grado, preti, aziende in cerca di pubblicità e chi più ne ha più ne metta. Tutti desiderosi di dare ma anche di ottenere, ciascuno ovviamente nel proprio ambito.
La parte del leone nell'assedio ai nuovi eroi nazionali (il Sud America è sempre in cerca di eroi nazionali) la fanno però ovviamente i giornalisti. Che vogliono interviste su interviste, servizi esclusivi, rivelazioni segrete. Che vedono in questi rudi e anche un po' rozzi signori un'occasione imperdibile per far esplodere vendite di giornali e ascolti televisivi. E che cominciano a tentarli di conseguenza.
Certe iniziali reazioni sembrano confermare una coerenza ammirevole. «Stavo quasi meglio sottoterra, tutti questi giornalisti intorno mi tolgono il sonno», dice ad esempio al quotidiano El Mercurio Orlando Reygadas. Ma molti altri cedono volentieri alle offerte di denaro e si prestano anche a ciò che dignità suggerirebbe di evitare. Così c'è chi si è fatto filmare mentre correva nudo in mare, per poi uscirne e pregare sulla spiaggia; chi ha fatto davanti ai colleghi sghignazzanti proposte di matrimonio a una donna obesa oltre ogni limite; chi ha inscenato la propria finta morte per una Tv americana pur di non rivelare dove aveva nascosto i soldi intascati dai giornali.

Infine lo stesso Reygadas ha definitivamente sbracato: a nome di tutti i colleghi ha detto che «tutta laverità» sarà finalmente raccontata «al miglior offerente: dobbiamo pur trarre qualche guadagno da tutto ciò che abbiamo sofferto». Si attendono imbarazzanti sviluppi.

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