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I nemici del Prof fanno i turni: fronda a rotazione

La nuova strategia di dissidenti e indipendenti impedisce all’Unione di disporre di tutti i consensi. Le direttive di Mastella: "Usciamo dall’aula". Poi lascia nell’emiciclo un luogotenente: "Tu controlla tutto". Prodi: "Dimissioni mai, chi tradisce esca allo scoperto". Di Pietro, leader dal fascino scaduto

I nemici del Prof 
fanno i turni: 
fronda a rotazione

da Roma

Una maggioranza pericolante, rende gli alleati pericolosi. E così Romano Prodi, adesso si ritrova il «nemico» in casa, nell’emiciclo del Senato. Solo che non è uno solo, ma una galassia di gruppuscoli che si differenziano a turno, secondo il meccanismo della «defezione a rotazione».
Per esempio: «Da oggi ho le mani libere!», afferma con una dose di carattere e spavalderia Lamberto Dini, leader di un drappello di senatori, «i liberaldemocratici» raccolti intorno a lui. Che poi sono tre. Come tre sono i mastelliani. Come tre sono quelli della Svp. E come tre sono i senatori che seguono Willer Bordon (Roberto Manzione e l’ex pidicino Fernando Rossi). Non sempre sono gli stessi tre che mancano, ma in ogni voto al Senato, ormai, ne manca almeno un gruppo di tre, e per il Professore non è certo una bella cosa. Sono accadute anche cose fantastiche, come la meravigliosa trovata mastelliana di abbandonare i lavori. Un giorno Clemente è entrato in Aula dicendo ai giornalisti: «Ce ne andiamo, il gruppo se ne va». Poi però ha detto a uno degli altri due udeurrini: «Tu resta in Aula a controllare la situazione». Così, mentre lui e Nuccio Cusumano uscivano, il senatore Barbato non si muoveva. Solo Mastella, poteva conquistare titoli come «Il gruppo dell’Udeur lascia l’Aula» (amplificato dai quotidiani e dalle agenzie con un danno di immagine aggiuntivo) semplicemente andandosi a prendere un caffè con un collega.
Ma in realtà, è proprio questo meccanismo di defezione a rotazione che ha messo in crisi il sistema difensivo dell’Unione a Palazzo Madama, le prostate di ferro, il pugno duro con cui Anna Finocchiaro ha limitato al massimo le defezioni. Anche perché poi, ai terzetti dissidenti, si aggiungono anche «gli uno» che mancano ogni tanto: una volta manca Giulio Andreotti (e l’altra invece c’è), un’altra volta non c’è l’ex Rifondatore Fosco Giannini (giovedì rischiava di abbandonare i lavori per protesta contro un servizio sulla rivoluzione d’Ottobre del Tg2!), una volta può mancare uno dei senatori a vita, prima o poi mancherà Franca Rame, che da mesi esterna il suo crescente disagio e pre-annuncia le sue dimissioni dal Senato.
La defezione a rotazione, insomma, è un meccanismo che permette agli ulivisti antiprodiani di riposarsi a turno. Sulla Rai sono venuti meno i consensi di Bordon e Manzione, sullo stretto di Messina si sono tirati indietro i dipietristi... La variazione dei soggetti che si sganciano rende ovviamente più difficile il controllo. Ed è proprio questa «balcanizzazione» della maggioranza, a Palazzo Madama, che costringe Prodi a diradare il suo potere di condizionamento, fino al paradosso: nello stesso momento in cui lancia il suo ultimatum a reti unificate, annuncia contestualmente che non metterà la fiducia. Il risultato? Paradossale. Giovedì scorso, prima dell’ultimatum gli era mancata la maggioranza tre volte (più una alla Camera!). Dopo l’ultimatum, nella nottata di votazioni è venuta meno altre tre. E poi, se ogni microgruppo dissidente apre anche un solo fronte di trattativa, ci sono cinque fronti da tenere contemporaneamente.
Il giorno del voto di fiducia sulla Rai, per esempio, dopo che in un pomeriggio il Senato fu costretto a votare ben 21 distinti ordini del giorno, il governo fu obbligato a ritirare il proprio (perché non avrebbe avuto i numeri). Per provare a mascherare la ritirata, il sottosegretario diessino gettato in campo nel momento più difficile provò a usare una meravigliosa finzione dialettica: il governo si considerava soddisfatto per l’approvazione degli ordini del giorno di Bordon (ma come, se fino a un minuto prima erano in dissenso dalla maggioranza!).
Insomma, grande è il disordine sotto il cielo, e adesso inizia a subentrare persino una certa dose di sfiducia. Anche perché, a furia di strappi, i liberaldemocratici sono finiti fuori controllo. «Con la nascita del Pd - spiega Dini - si è creata una situazione nuova. Io - osserva Dini - sono stato eletto nelle liste della Margherita, che ora non c’è più». E dunque il collo di bottiglia arriva con la manovra. «Questa - aggiunge l’ex premier - è una Finanziaria che scontenta molta gente.

È una manovra che non riduce la spesa e non riduce la pressione fiscale».

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