I partigiani occupano Lettere e riscrivono subito la storia

(...) La domanda è inevitabile: perché una sezione dell'Anpi nell'Università di Genova? Una risposta logica non si può trovare, a meno che non si creda ad una imminente «marcia su Roma» o cose del genere. Uscendo per un attimo dalle questioni ideologiche e politiche, entra in gioco anche un altro fattore non sottovalutabile, ovvero il fatto che l'Università di Genova non disponga di tutti questi spazi per potersi permettere la concessione di locali ora all'Anpi, in passato a centri sociali (in via delle Fontane). La realtà dell'Ateneo genovese infatti parla di studenti di Giurisprudenza costretti a fare lezione all'interno di sale cinematografiche e aule dell'Albergo dei Poveri che perdono pezzi di intonaco dal soffitto, senza considerare i più classici esempi di aule sovraffollate con ragazzi costretti a seguire le lezioni seduti per terra o di biblioteche dove è impossibile trovare posto se non ci si presenta entro le 8 del mattino, restando sempre in attesa della nuova Biblioteca Universitaria nell'ex Hotel Columbia di Principe, la cui data di apertura riesce a dilatarsi nel tempo come se si trattasse di una fermata della metropolitana.
Il locale preposto ad ospitare il «24 maggio 1974» non è stato ancora individuato (attualmente gli scritti si ritrovano presso la sezione provinciale dell'Anpi in corso Aurelio Saffi) ma riguardando la Facoltà di Lettere, verrà probabilmente individuato tra i locali di via Balbi e quelli di via delle Fontane.
L'apertura di una sezione dell'Anpi all'interno dell'Università di Genova (primo, e probabilmente unico, caso in Italia), però, fa discutere soprattutto per il valore ideologico che comporta. Premesso che la costruzione di un futuro migliore passa per forza da una approfondita conoscenza della storia tutta, non solo quella comoda; il fine della sezione Anpi risulta essere quanto mai lontano da un laboratorio di ricerca storica, e viceversa, terribilmente vicino ad un indottrinamento forzato a vedere la storia sotto un unico punto di vista «giusto» che è qualcosa di assolutamente inconcepibile per un Ateneo di tutto rispetto come quello genovese. Qualche prova? In primis il fatto che alla presentazione si sia rifiutato di presentarsi, seppur invitato, il rettore Giacomo De Ferrari. In secondo luogo le lezioni storiche volutamente «monche» degli ospiti (oltre a Raimondo Ricci, hanno partecipato Manlio Milani, presidente dell'associazione vittime di piazza Della Loggia; il magistrato Francesco Pinto; Ivan Bosco della Cgil; il docente di Storia Contemporanea di Scienze Politiche, Guido Levi e Christian Vernier, studente di Scienze Politiche nonché presidente della nuova sezione) che alla voce «dittature del XX Secolo» hanno citato solo il nazismo tedesco e il fascismo italiano, dimenticando ad esempio i regimi comunisti. E alla voce «terrorismo italiano degli anni ’70» hanno fatto corrispondere solamente quello di matrice nera, tralasciando ad esempio le Brigate Rosse di Enrico Fenzi, tentato ospite della Facoltà di Lettere per un convegno su Petrarca. Altri aspetti più «frivoli»? Il continuo richiamo a cliché quali il chiamarsi «compagni», la copia dell'Unità sotto il braccio e una colonna sonora di sottofondo che poteva svariare da «Bella ciao» a «Fischia il vento».
Insomma, nel bel mezzo di una disputa politica nazionale sulle recenti affermazioni del presidente del consiglio Berlusconi sul sistema scolastico italiano, Genova ha voluto rispondere a tempo di record, con l'inaugurazione dell’«Università partigiana».

Dopo tutto non ci si può neanche sorprendere più di tanto o sentirsi colti in contropiede; l'assessore alla Cultura del Comune, Andrea Ranieri, pochi giorni fa era stato chiaro nell'individuare le priorità di Genova entro la fine del mandato dell'amministrazione del 2012: museo della Resistenza e moschea. Per il primo qualche passo avanti è stato fatto grazie all'insediamento nell'Università, adesso sorge il dubbio su dove possano iniziare a spuntare i minareti. Le scuole ed i licei genovesi sono avvisati.

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