Roma - Tra Regioni e governo, se ci si limita alle cose scritte nelle varie bozze e proposte, ci sono più punti di contatto che differenze. Le schermaglie sul piano casa tra governatori e Palazzo Chigi anche ieri sera, al culmine della rottura, sembravano concentrate esclusivamente sui tempi e sullo strumento che sarà utilizzato, quindi la scelta tra un decreto dettagliato e un provvedimento d’urgenza, ma «leggero» che lasci alle regioni il compito di legiferare. Per il resto la ricetta per rilanciare il settore edilizio e semplificare la giungla di norme che complica la vita a chi si costruisce la casa, è da tempo definita. Anche perché sui punti più importanti non ci sono mai state grandi differenze tra la proposte del governo centrale e quella dei poteri locali.
Venti metri ogni cento
Nessuno, ad esempio, ha nulla da ridire sull’ampliamento del 20% della volumetria degli immobili inclusi nel piano. Quindi le villette mono e bifamiliari e, adesso, anche le palazzine di mille metri cubi (circa 300 metri quadri). Non ci sarà la deroga ai piani regolatori, che andranno quindi rispettati. Le cubature andranno trovate tra quelle ancora disponibili nei piani cittadini e ai regolamenti edilizi.
Un terzo di ecocasa in più
Ancora meno problemi per l’altro premio in cubatura, quello più consistente, del 35 per cento, che il piano riserva a chi decide di abbattere e ricostruire seguendo però progetti di bioedilizia, di risparmio energetico o idrico. È la famosa rottamazione degli edifici, simile alle proposte di associazioni ambientaliste come Legambiente e di architetti come Aldo Loris Rossi. Questi due cardini del piano ieri sono stati inclusi anche nella proposta sulla quale tutte le regioni hanno trovato l’intesa. Segno che, almeno il bonus in cubatura, è stato digerito senza problemi dai rappresentanti dei governi locali.
Governatori «commissariati»
Su alcuni punti i rappresentanti delle regioni sembrano essere più severi del governo. «Il provvedimento - ha spiegato ieri l’assessore veneto all’urbanistica, Renzo Marangon - prevede l’intervento del governo nel caso una Regione sia inadempiente». Dove inadempiente significa la mancata approvazione della legge regionale entro novanta giorni. Ma quello dei tempi è uno degli argomenti sui quali fino a ieri notte governo e regioni hanno cercato l’intesa.
Licenza addio arriva la Dia
Le bozze circolate fino a ieri confermavano tutte l’abolizione del permesso di costruire nelle nuove costruzioni, nelle ristrutturazioni urbanistica, comprese quelle che prevedono la modifica della sagoma e della volumetria. Al suo posto, la Dia, la dichiarazione di inizio attività che già oggi viene utilizzata per le ristrutturazioni leggere. In sostanza, invece di chiedere il permesso e aspettare una risposta dalla burocrazia, si comunica all’amministrazione l’avvio dei lavori. Sta agli uffici pubblici segnalare eventuali irregolarità e quindi bloccare il cantiere.
Stop ai doppioni
Uno degli obiettivi della legge è la semplificazione. Ridurre la giungla di permessi e autorizzazioni che peraltro non hanno impedito la diffusione dell’abusivismo e la costruzione di edifici pericolosi. Per il rispetto dei requisiti antisismici si passa dalle autorizzazioni a controlli a campione. I vari permessi ambientali come il Vas (valutazione ambientale strategica) saranno ridotti, in modo da evitare sovrapposizioni. Dovrebbero invece rimanere fermi gli adempimenti che riguardano la regolarità dei lavoratori dell’edilizia. Come il Durc, documento unico di regolarità contributiva, che riguarda gli aspetti previdenziali e fu introdotto dal precedente governo Berlusconi. E che le regioni vogliono mantenere.
I «ni» delle regioni
A parte il nodo delle competenze, le differenze tra governo e regioni sono poche.
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