I soldi degli italiani sotto il materasso

In 7 anni contanti e depositi bancari lievitati a 1.200 miliardi: pesa l'incubo povertà. Boom di polizze vita e fondi pensione

RomaLa crisi ci fa risparmiosi. Impauriti dalla prospettiva di diventare poveri, gli italiani riscoprono il salvadanaio, accantonando invece di consumare: una tendenza saggia ma con una punta di paranoia che congela l'economia allontanando la crescita. È la fotografia che scatta il Censis in un focus che cerca di scoprire dove (e perché) siano finiti i nostri soldi nella buia notte della supercrisi.

La risposta è: in banca. Oppure sotto al materasso. Mentre i consumi calavano del 7,6 per cento dal 2007 a oggi e le compravendite immobiliari si dimezzavano (dalle 807mila del 2007 alle 403mila del 2013), i soldi così risparmiati venivano tenuti in stato di preallarme nei conti correnti o nelle disponibilità cash delle famiglie. Negli ultimi sette anni il valore complessivo di contanti e depositi bancari è passato da 975 a 1.209 miliardi di euro, con un incremento del 9,2 per cento in termini reali. Oggi le famiglie italiane hanno circa il 30 per cento del loro portafoglio finanziario in forma liquida, contro il 25 per cento di prima della crisi: un chiarissimo riflesso pavloviano all'incertezza, alla paura. Quando si teme di diventare poveri avere soldi a portata di mano per ogni evenienza è per molti di noi assai rassicurante, evidentemente. E nella stessa direzione va anche il boom delle assicurazioni e dei fondi pensione, nei quali sono affluiti 125 miliardi di euro in più negli ultimi sette anni, con un aumento percentuale del 7,2 per cento. Notevole anche l'incremento dei premi delle polizze vita, passati dai 63,4 miliardi del 2007 agli 86,8 miliardi del 2013, con un inequivocabile +21,3 per cento in termini reali.

Insomma: quando girano meno soldi quei pochi diventano un antidepressivo da tenere a portata di mano. Il punto di svolta è stato il secondo trimestre del 2012, quando i risparmi, allora a 20,1 miliardi, hanno ripreso a crescere continuando fino ai 26 miliardi del primo trimestre del 2014, con una crescita del 26,7 per cento in termini reali. La propensione al risparmio è cresciuta nello stesso periodo dal 7,8 per cento al 10, malgrado nello stesso periodo il reddito disponibile delle famiglie sia diminuito dell'1,2 per cento.

La tendenza ha interessato anche il cosiddetto risparmio gestito e le azioni, soprattutto dopo il crollo degli interessi sui titoli del debito pubblico (nel dicembre 2011 i Bot davano un rendimento del 5,9 per cento, a giugno 2014 dello 0,4). Così i soldi investiti nei fondi comuni sono aumentati di 82 miliardi dal secondo trimestre del 2012 al primo trimestre del 2014, con una crescita in termini reali del 31 per cento. Le azioni ci hanno impiegato un po' di più a prendere l'ascensore per i piani alti: dal secondo trimestre 2013 al primo trimestre 2014 la crescita in termini assoluti è stata di 140 miliardi e quella percentuale del 17 in termini reali.

Numeri che potrebbero anche essere confortanti se non nascondessero un atteggiamento depresso, angosciato, vagamente paranoico: un italiano su tre (il 33 per cento) teme di diventare povero, anche a causa della pesante sfiducia nel sistema di welf are statale, che rassicura solo il 30 per cento dei nostri concittadini, contro il 74 per cento dei francesi, il 73 dei tedeschi, il 61 dei britannici e il 58 degli spagnoli. Così, terrorizzati dall'idea di perdere il lavoro o di fronteggiare un'emergenza o una malattia, preferiamo avere qualche quattrino in saccoccia.

Il 44 per cento degli intervistati dal Censis sostiene di risparmiare per fronteggiare rischi sociali, di salute o di lavoro; il 36 per cento ammette il risvolto psicologico, confessando di sentirsi rassicurato dal fare la formichina; infine il 28 per cento mette da parte per garantirsi una vecchiaia più serena. Un atteggiamento che non ama l'investimento sul futuro e il rischio, che non vivifica i consumi e in fondo è inevitabile in un Paese dall'età media piuttosto alta come il nostro.

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