Ma i veri artisti non avevano una ideologia

Erano trent'anni che Lucio Dalla si proclamava cattolico e non marxista. Ora però, sempre abilissimo nell'épater les bourgeois, l'autore di Gesù Bambino annuncia e poi rettifica una fin qui ignota contiguità con l'Opus Dei, e scatena l'attenzione dei media. Dal canto suo Gianni Morandi prende garbatamente le distanze dal comunismo, senza peraltro esserne mai stato un esponente organico. E De Gregori critica la politica del suo amico Veltroni, così «malleabile» che il cabarettista Maurizio Crozza l'ha definita del «ma anche».
Non solo. L'ex deputato comunista Gino Paoli si dice disposto a collaborare con un notabile del centro-destra nell'organizzazione d'un festival musicale, e altri grandi del cantautorato reiterano nei confronti della religione un rispettoso interesse che, pur già altre volte espresso, viene enfatizzato dai media come un mutamento collettivo di bandiera. Così come viene spacciata per svolta epocale la tendenza di alcuni artisti a riconsiderare in termini più dialettici il loro essere di sinistra: e del resto sono da tempo passati gli anni ’70 e ’80, quando i circuiti dell'Arci e le feste dell'Unità «dovevano» essere frequentati da tanti artisti, che ne ricavavano l'unica possibilità di sopravvivenza.
C'è, dunque, una sorta di restaurazione, o di controriforma politico-religiosa, tra i grandi della canzone d'autore? Per carità: guardiamoci dalle interpretazioni superficiali, come di chi scambi per bigottismo il misticismo a-confessionale d'un Battiato, o per marxismo di sacrestia l'anarchismo d'un De André o d'un Gaber. O di chi tentasse di leggere in termini di conformismo clericale il De Gregori di L'agnello di Dio, con l'icona pasoliniana e dantesca del protagonista che «vestito da soldato/con le gambe fracassate/col naso insanguinato/si nasconde dentro la terra/tra le mani ha la testa di un uomo/ecco l'agnello di Dio/ venuto a chiedere perdono».
Un artista non è uno scienziato, legato a un sistema rigido di pensiero. Ogni artista possiede, nel fondo di sé, un istinto libertario, una salutare coazione all’eresia, che gli vieta di essere pienamente organico a un'ideologia, a un partito, a una Chiesa. Non per niente un biblista come Gianfranco Ravasi, in una recente trasmissione, citava, come esempi toccanti di religiosità sostanziale, non due scrittori cristiani, ma due grandi atei come Pasolini e Sartre.
Ecco perché fu assurdo, sull'onda del ’68 e poi del ’77, considerare i De Gregori, i Venditti, i Guccini come dei canori funzionari di partito, e perché è altrettanto assurdo, oggi, considerarli, alla luce di qualche più o meno «clamorosa» intervista, come degli spretati della politica.

«Senza orario, senza bandiera», s'intitolava nel '68 un memorabile disco dei New Trolls: già nel titolo esprimendo la sola ideologia che agli artisti è concessa, siano essi di sinistra o no. Senza contare che - ammette il marxista Gabriel García Márquez - «l'atto più rivoluzionario d'un autore è scrivere bene».

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