Un inedito Muti si racconta con ironia: «Non sono ancora rattrappito sul podio»

da Roma

Un Riccardo Muti simpatico e autoironico, che per la prima volta racconta dei suoi primi passi nel mondo della musica classica. Questo è il lato inedito del direttore d’orchestra che il mondo ci invidia, ma che è sempre stato rappresentato dal grande pubblico come un maestro burbero, serio e inflessibile. La sfida è di Massimo Bernardini che ha realizzato il documentario Riccardo Muti. Un ritratto, in onda per la serie La Storia siamo noi questa sera su Raitre alle 0.40, (in replica giovedì 29 alle 8.05).
Ne esce il racconto di un uomo che vive con passione; innanzitutto quella per la musica, che fa del maestro un grande divulgatore della cultura musicale, al pari del compositore americano degli anni Cinquanta Leonard Bernstein, che teneva le sue lezioni in televisione.
Nel documentario il direttore mostra sia il lato affabile e paterno con i giovani musicisti dell’amata Orchestra Cherubini, sia quello di stimata guida della grande compagine dei Filarmonici di Vienna, tanto che Clemens Hellsberg, violino e presidente del Wiener Philharmoniker racconta: «Quella con Muti è una relazione che dura da 34 anni ed è stata fin dall'inizio una storia d'amore. Era un giovane direttore di trent'anni quando arrivò e convinse non solo i giovani come lui, ma anche i più anziani».
Uno sguardo al presente e Muti si dispiace della superficialità con cui oggi si diventa direttore d'orchestra: «I giovani si buttano nella direzione molto presto, per cui ci sono anche i grandi talenti, ma la conoscenza di un orchestra, del palcoscenico, delle leggi che il palco impone alla buca e delle prerogative che la buca può avere sul palcoscenico fanno parte di un bagaglio dei direttori d'orchestra di una volta e che oggi stanno sparendo».
E pensare che per risolvere questa situazione basterebbe uno sguardo al passato. Lo stesso Muti ricorda con un po’ di emozione la lezione ricevuta: «I miei maestri mi hanno insegnato che se hai un'idea musicale deve venire fuori attraverso le braccia che sono un mezzo, non un fine.

Oggi spesso la fisicità del direttore è un fine e lo dice uno che non è rattrappito sul podio! L'ideale è quello che diceva Karayan: il direttore d'orchestra deve lavorare talmente a fondo nella concertazione che al momento del concerto deve sembrare che l'orchestra diriga il direttore».

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