Napolitano alle toghe: non dovete ostacolare la riforma della giustizia

Il capo dello Stato parla ai nuovi magistrati e richiama al rispetto delle istituzioni: basta protagonismi

Napolitano alle toghe: non dovete ostacolare la riforma della giustizia

Punto primo: non siete «un potere» ma «un servizio». Punto secondo: non abbiamo bisogno di «protagonisti» poco sobri, di angeli vendicatori, di superman «investiti da missioni improprie e fuorvianti», ma di gente che sappia far «rispettare la legalità e tutelare i diritti dei cittadini». Punto terzo: non se ne può più di «arroccamenti su posizioni precostituite», ma occorrono senso della misura, imparzialità e conoscenza «del mondo in cui si opera». Punto quarto, basta con le invasioni di campo: per difendere la separazione dei poteri, «nell'anno trascorso sono stato aggredito con reazioni faziose». Da Silvio Berlusconi, che voleva la grazia? No, non è al Cav che sta pensando, e nemmeno agli attacchi di Grillo, ma ai pm di Palermo, alle intercettazioni illegali, all'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Questa in sintesi l'accoglienza piuttosto ruvida che il presidente della Repubblica riserva ai magistrati in tirocinio, saliti sul Colle per il tradizionale benvenuto nei ranghi. L'indipendenza? Ma certo che è un valore, anzi «è un precetto costituzionale» del quale, spiega Giorgio Napolitano, «io come capo dello Stato e presidente del Csm sono doppiamente garante». Però, se vogliamo «un clima nuovo», se vogliamo davvero far progredire il Paese dopo la sanguinosa guerra dei vent'anni, adesso serve una profonda riforma.

Serve insomma «un profondo rinnovamento» per recuperare «efficienza, efficacia ed economicità» e per «ristabilire un rapporto di fiducia con i cittadini». Tutto ciò purtroppo, si lamenta il presidente, «tarda ad arrivare», si preferisce continuare ad avvitarsi in scontri di potere. Peccato che, come è scritto sulla Carta, bisognerebbe «sentirsi sempre meno potere e sempre più servizio». Peccato che l'invito della Corte Costituzionale «alla correttezza e lealtà nei rapporti tra le istituzioni, nel rispetto delle attribuzioni», sia diventato un pezzo di carta appallottolato e buttato nel cestino. Quello che invece si richiede ai magistrati, insiste Napolitano, è di «mantenere una rigorosa osservanza dell'ambito e delle competenze». La sola, «l'unica» missione da compiere per chi deve amministrare giustizia è «far rispettare la legge e tutelare i diritti» della gente, «evitando personalismi» e sconfinamenti «che non si confanno» al ruolo. Il compito dei magistrati, osserva il capo dello Stato, è particolarmente delicato. Voi, spiega alle nuove leve, avrete in mano un'arma potentissima, cioè «l'incisivo potere di interpretare la legge creando il diritto vivente e ampia discrezionalità». In questo quadro «anche le apparenze assumono importanza» perché il magistrato «non deve soltanto essere capace di mantenersi estraneo a interessi di parte e di valutare le questioni con obbiettività ed equdistanza priva di pregiudizi, ma deve assicurare la sua immagine di imparzialità».

I tirocinanti ascoltano in silenzio, qualcuno a testa bassa, la lezione di Re Giorgio, che elenca tutti i mali della giustizia italiana. «Ricordate che la mancanza del doveroso riserbo, il protagonismo personale, la trascuratezza nella redazione dei provvedimenti, il grave ritardo nel loro deposito incidono sulla terzietà e provocano generale sfiducia». Se volete essere rispettati, tenete comportamenti adeguati. Napolitano spera che «la nuova generazione» di toghe non «cada prigioniera del clima di tensione» che ha segnato due decenni. Però non si fa illusioni.

L'Italia ha bisogno come il pane di «una più alta stagione di fervore morale e ideale nel senso della coesione nazionale», invece nell'ultimo anno «di forzoso prolungamento delle mie funzioni, ho sperimentato contraddizioni, incertezze, pregiudiziali». Tutte cose che hanno ostacolato «il necessario rinnovamento».

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