Alfano a Palermo per il voto: non è un test nazionale

L’appello del segretario Pdl: "Non scegliete moderati senza chance"

Alfano a Palermo per il voto: non è un test nazionale

nostro inviato a Palermo
C’era una volta il 61 a 0.C’era una terra, la Sicilia, in cui Silvio Berlusconi, Forza Ita­lia, il Pdl, raccoglievano consensi bulgari e folle oceaniche, altro che Grillo. Era il 2001, 11 anni fa. Una vita fa, sembra ades­so, anno 2012. E la rappresentazione pla­stica dell’abisso che separa quel tempo dall’oggi è la giornata di chiusura della campagna elettorale più anomala che i si­ciliani abbiano vissuto: da un lato il segre­tario del Pdl, Angelino Alfano, che in una conferenza stampa a Palermo per sminui­re il valore politico nazionale del
test sici­liano di domani e per lanciare un appello a non dar voti a Gianfranco Miccichè; di là lo stesso Miccichè, l’uomo di quel 61 a 0, già berlusconiano di ferro, che sempre a Palermo con il leader Fli Gianfranco Fini, spara contro il Cavaliere e briga perché a vincere non sia il candidato Pdl, Nello Mu­sumeci. Anche a costo, lo accusa la contro­parte, di passare voti al «nemico», il candi­dato di Pd e Udc, Rosario Crocetta.

Mette le mani avanti, Alfano sul valore da attribuire al voto siciliano. Sa bene che anche se, come è probabile, sarà Mu­sumeci a vincere, il Pdl non avrà le stesse percentuali del passato: «Da Roma alle Al­pi - dice - ci spiegano l’effetto politico na­zionale di queste elezioni. Ma è un effetto che non ci sarà. Prendiamo Crocetta: qui Bersani lo sostiene con Casini, mentre a li­vello nazionale è alleato di Vendola. Se, e speriamo proprio di no, dovesse vincere Crocetta, pensate che Bersani smonterà il patto con Sel? No, non accadrà. Lo stesso vale per noi. La nostra è una coalizione che vede insieme il Pdl, la Lista Mu­sumeci, e il Cantiere popolare di Romano, che ha un radicamento siciliano, non ha conseguenze sugli assetti nazionali. Non è una sfida determinante per il futuro del Pdl». Quanto a Miccichè, Alfano affonda: «In questa campagna elettorale - dice - ha parlato più di me che di sé e delle idee per la Sicilia». Ma l’appello del segretario a non disperdere il voto si legge proprio co­me un non votate Miccichè: «La scelta è tra Musumeci e Crocetta, il voto non va di­sperso tra i candidati moderati che non hanno chance di successo».

Il candidato moderato che non ha chan­ce di successo replica a stretto giro, dal pal­co dell’ex cinema che ha trasformato in co­mitato elettorale: «La più grande delle minchiate - tuona - è dire Miccichè vota Crocetta. Alfano e Bersani si sono messi d’accordo, ci temono, hanno messo in gi­ro questa voce». Fini, in platea, annuisce. Ed è tutto un «caro Gianfranco» al quadra­to- Gianfranco si chiama Fini ma pure Mic­cichè- quello che va in scena. «Caro Gian­franco, - dice Miccichè - sai qual è stato il vero errore di Berlusconi? Fare il Pdl. Quando c’erano l’Udc e An doveva media­re tra gli interessi del Nord e del Sud, per te ha dovuto cacciare Tremonti. Poi si è ritro­vato ricattato dalla Lega». Il «caro Gian­franco » presidente della Camera racco­glie: «Il punto più acuto della crisi del Pdl è stato quando non si sono resi conto che stavano abbandonando il Sud». Quindi un predicozzo sulla legalità, senza una pa­rola sul candidato inquisito per favoreg­giamento a un personaggio in odor di ma­fia candidato da Miccichè.
C’era una volta il 61 a 0. Ora sembra un altro mondo.

E dire che era cominciata in tutt’altro modo: Miccichè candidato go­vernatore con l’ok di Berlusconi; il «no» del Pdl siciliano, diretta ispirazione di Alfa­no; il passo indietro di Miccichè che lancia Musumeci; Alfano che dice sì, Musumeci per noi va bene; e Miccichè che si smarca, che va da solo per sconfiggere il Pdl. Il fina­le?
La parola alle urne, domani.

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