Altro che rinnovamento. Nel Pd siciliano domina l'apparato

A sostenere la candidatura di Fausto Raciti alla segreteria regionale del Pd ci sono cuperliani, dalemiani, renziani e politici che fino a qualche giorno fa se le davano di santa ragione. Come Crisafulli e Faraone

Altro che rinnovamento. Nel Pd siciliano domina l'apparato

Ah, se Renzi facesse un viaggio in Sicilia, quante bellezze artistiche vedrebbe. E se poi andasse a Palazzo d'Orleans o nella sede del suo partito, ammirerebbe pure una di quelle storiche e immortali tradizioni sicule (contro cui si è più volte scagliato): il correntismo. E così succede che a sostenere la candidatura di Fausto Raciti alla segreteria regionale del Pd ci siano cuperliani, dalemiani, renziani e politici che fino a qualche giorno fa se le davano di santa ragione. Un minestrone democratico insomma. Sembra che il Pd sia andato a dormire disgregato per svegliarsi poi unito più che mai. Raciti, definito negli ambienti regionali come “il piccolo D'Alema” (non solo per l'età ma anche per il modo di parlare), è sponsorizzato dall'area guidata da Vladimiro Crisafulli. Sì, lo stesso Crisafulli che il Pd nazionale voleva “epurare”, che prese oltre seimila voti alle primarie e il cui ingresso al Senato fu bloccato dal consiglio dei garanti del Pd per tutelare l’immagine e l’onorabilità del partito. Lo stesso Vladimiro contro il quale il regista siciliano Pif si scagliò dal palco della Leopolda invitando i dirigenti del Pd a “cacciarlo a calci nel sedere”.

Tutta acqua passata. Ora Crisafulli si trova a braccetto con Davide Faraone, il renziano che nel dicembre scorso occupò il seggio delle primarie a Enna (regno di Crisafulli) accusandolo di “gestire il partito come la repubblica delle banane”. Come se non bastasse, a sostenere Raciti c'è anche Beppe Lumia, leader del Megafono, contro il quale Crisafulli si scagliò rivolgendosi addirittura ai probiviri del partito per la questione della doppia iscrizione (al Pd e appunto al Megafono). Dal canto suo, Lumia accusò più volte Crisafulli reo di “far leva su un modello clientelare e collusivo con il quale da sempre gestisce il suo potere politico”. Dall'odio all'unità. Per il candidato alla segreteria regionale del Pd, questi “matrimoni tra divorziati” si spiegano così: “Crisafulli e Faraone convergono sulla mia candidatura? A differenza di una tradizione in cui il Pd si è indebolito per le sue divisioni, oggi ci sono le condizioni per una ritrovata unità per anime che sono distinte e distanti. La mia è una candidatura che fa eccezione sul piano nazionale perché, partendo dalla necessità di ritrovare il protagonismo e il ruolo del Pd in Sicilia, supera le divisioni nazionali partendo da un disegno di rinnovamento generazionale del Pd”. Sarà. Intanto, la teoria dei malpensanti è quella che Renzi non si sia opposto al nome di Raciti per elargire un segnale distensivo ai cuperliani all'indomani delle dimissioni di Cuperlo da presidente del Pd e in vista delle prossime riforme, legge elettorale in primis.

Comunque sia, al netto di ogni dietrologia, la cosa certa è che in Sicilia al momento si sta verificando tutto quello che Renzi ha annunciato di voler eliminare: correntismo, giochi di potere, spartizione di cariche e stratagemmi di convenienza politica. Ma anche nomine dall'alto e surclassamento della volontà degli elettori democratici. Perché non va dimenticato che Fausto Raciti, colui che Renzi ora appoggia, altro non è che un ex dalemiano, poi passato ai Giovani turchi in quota Orfini, ora cuperliano di ferro, eletto segretario dei giovani democratici snobbando le primarie tanto osannate nel partito e cancellandole dallo statuto in favore del congresso stampo Pci-Pds basato su mozioni slegate dalle candidature a segretario.

Nessun gazebo, nessun circolo. Il nome di Raciti è stato deciso a porte chiuse e da una assemblea di delegati (e pensare che nel 2008 Raciti era stato eletto segretario proprio attraverso le primarie). Rinnovamento, appunto.

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