Il vero spartiacque sarà il voto sulla decadenza in programma tra la fine di ottobre e i primi di novembre. Solo allora, quando al Senato si creerà una nuova maggioranza Pd-Sel-M5S che decreterà l'uscita di Silvio Berlusconi dal Parlamento, si capirà fino a che punto è intenzionato a tirare la corda il Cavaliere. Stufo dello scontro interno al Popolo della libertà e molto infastidito per il dibattito in corso sull'amnistia (che trova «ipocrita» e «pretestuoso»), in privato l'ex premier è infatti tornato a manifestare tutte le sue perplessità su un Pd che «non vede l'ora di essere il mio carnefice». Una situazione che dopo il voto sulla decadenza questo il senso dei ragionamenti delle ultime 48 ore non sarà più «sostenibile» e «imporrà a tutti un'assunzione di responsabilità».
Il voto di Palazzo Madama, dunque, come punto di non ritorno. O almeno è così che lo immagina Berlusconi quando ad Arcore affronta l'argomento con i suoi interlocutori prospettando scenari non proprio idilliaci. Perché, ripete in privato, «a quel punto ci vorrà coraggio ad andare a braccetto con i miei carnefici».
L'ex premier peraltro si avvicina al voto sulla sua decadenza da senatore sempre più convinto che, caduto lo scudo parlamentare, i pm faranno la gara ad aprire inchieste e spiccare richieste di arresto o di perquisizione a suo carico. È persuaso, insomma, che il Pd non voglia fare altro che «dare il via libera alle procure». Il tutto con sullo sfondo il dibattito sull'amnistia. «Ipocrita per non dire ridicolo», dice l'ex premier in privato. Perché, spiegava ieri Sandro Bondi, «tutti sanno che in questa legislatura non ci sono le condizioni per approvarla con i due terzi del Parlamento». Invece si fa finta che il problema sia Berlusconi è il senso di quel che va dicendo in privato il Cavaliere per poi «scaricare su di me la colpa e dire che l'amnistia non si è fatta a causa mia».
Neanche tanto sottotraccia, intanto, continua il braccio di ferro dentro il Pdl. Visto l'invito di Berlusconi a non tenere dibattiti sui giornali o sulle agenzie di stampa, infatti, i contendenti hanno deciso di darsi a tempo pieno a Twitter. Ed è proprio sul social network che ieri sono piovute una serie di prese di posizione a sostegno della linea lealista di Raffaele Fitto: da Mariastella Gelmini a Mara Carfagna, passando per Saverio Romano. Sullo stesso fronte Daniele Capezzone, Gabriella Giammanco, Stefania Prestigiacomo, Deborah Bergamini e Renata Polverini. Mentre Anna Maria Bernini definisce «inaccettabili le minacce di scissione da parte di alcuni autorevoli esponenti del nostro partito». Cerca invece di alleggerire il clima Nunzia De Girolamo: «In queste ore scrive il ministro su Twitter va molto di moda nel mio partito lo spread del berlusconismo, un differenziale fra chi è fedele o meno a Berlusconi».
L'ex premier, intanto, preferisce restare alla finestra.
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