Chi vuole assoggettarsi ai poteri internazionali perde libertà d'azione politica

di *Fondatore e membro

del Comitato di presidenza

di Fratelli d'Italia

L o scontro che si sta consumando nel Pdl è qualcosa che va al di là della folkloristica divisione tra falchi e colombe o della più seria divisione tra lealisti, pontieri e governisti. Nella totale inconsapevolezza dei più, in ballo c'è il lucido tentativo da parte di Alfano, Lupi, Quagliariello e altri, di portare il maggior partito del centrodestra italiano all'interno del club di elite ed establishment di cui già fanno parte i partiti di Monti, Letta, Prodi, Casini ed altri.
Il loro obiettivo è quello di legittimarsi all'interno di quei contesti nazionali ed internazionali dove c'è il vero potere. Questo passaggio significa blindare i confini dell'azione di quel partito, che si chiami Pdl o Fi è indifferente, in accordo con i confini di un «politicamente corretto» individuato da altri, accettare che il loro movimento entri in un recinto di «legittimità burocratico istituzionale» e di contestuale sudditanza politica. Si accettano acriticamente i paletti definiti a livello europeo e ci si confronta con un altro schieramento che ha accettato le stesse regole. Ci si avvia cioè su una strada nella quale le differenze tra centrodestra e centrosinistra sono marginali perché la base comune politica è definita altrove, senza le problematiche che comportano i sistemi democratici.
Non si può mettere in discussione «questa» Europa, non si può mettere in discussione «questa» moneta, non si possono ridefinire i parametri fissati burocraticamente anche se uccidono il Paese reale, si accetta la sudditanza della politica rispetto al sistema di finanza, burocrazia e banche. Si accetta il passaggio di partiti che aderiscono ad un «sistema» predefinito nel quale la vittoria di uno schieramento o di un altro poco cambia sul piano delle grandi scelte future. Si accetta un ruolo marginale della politica, un ruolo marginale dell'Italia, una lenta decadenza del sistema produttivo, si sottoscrive un patto che congela le possibilità di rappresentanza reale di interessi diffusi dei cittadini per intraprendere la strada di un pensiero unico nel quale è consentito dividersi solo sugli aggettivi.
I lati positivi di questo percorso sono moltissimi ma quasi esclusivamente individuali e non del Paese. Il Pdl berlusconiano era fuori da questo sistema. Lo era forse proprio in virtù del grandissimo conflitto di interesse del suo leader, perché la sua forza finanziaria e mediatica lo rendeva insensibile ed indifferente alle lusinghe di quel sistema. E quel sistema lo ha sempre guardato con sospetto e diffidenza perché non era «comprabile» con sistemi tradizionali. L'unica sua necessità era garantire il suo «particolare» ma questo lo rendeva più libero su tutti gli altri fronti, più libero di ogni suo altro concorrente politico che doveva aggiustarsi difendendo una pluralità di interessi di altri poteri. Questa libertà, pur nascendo da una contraddizione democratica, lo rendeva capace di interpretare meglio di altri il sentimento popolare di una parte del paese. La sua forza in questi anni è infatti stata la diversa possibilità di espressione e linea che poteva permettersi rispetto ad altri schieramenti obbligati ad accettare compromessi continui con poteri reali esigenti e molto più forti della politica e delle Istituzioni democratiche. Allo stesso modo gli concedeva una disinvoltura realistica e pragmatica nei rapporti internazionali, dalla Libia alla Russia, che non poteva essere concessa all'Italia. Proprio per questo motivo, la riconduzione del Pdl nell'alveo della «linea giusta» è stata benedetto in modo bipartisan, da Schulz in nome dei socialdemocratici e dalla Merkel in nome dei popolari, avallata da un messaggio di parte del presidente della Repubblica, di Squinzi, e di tutti quelli che in un modo o nell'altro devono la loro sopravvivenza al sistema bancario/finanziario/burocratico.
La vicenda interna del Pdl diventa pertanto importante non perché coinvolge il destino di Berlusconi, ma per la rappresentanza della parte produttiva di questo Paese che sarà uccisa da «questa» Europa.

Oggi siamo un po' più europei, ma non nel senso nobile del termine. Oggi una parte in più del sistema politico italiano è stata fagocitata dal potere centrale europeo. Anche il centrodestra è stato messo in sicurezza. Ma non è in sicurezza il Paese.

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