il commento 2 Con lo Stato delatore il Paese finisce ko

di Carlo Lottieri

Quando si assiste al dilatarsi ipertrofico del potere statale, la società può solo declinare, come si è spesso constatato nei più diversi contesti storici. L'interventismo pubblico distrugge il sistema produttivo e fa venir meno ogni capacità delle imprese di innovare e creare posti di lavoro. Il peso oppressivo di tassazione e regolazione annullano la possibilità stessa di restare sul mercato. Ancor peggio, questo prevalere degli apparati burocratici comporta un progressivo decadimento morale. Una conseguenza nota è il parassitismo, perché la crescita del potere statale moltiplica prebende e facili arricchimenti. Ma oltre a ciò è la qualità della nostra vita interiore che degrada, poiché il senso morale viene progressivamente svuotato. Alla fine diventiamo semplici esecutori di ordini: quali che sia il loro contenuto. L'ultimo questionario inviato a taluni contribuenti dalla Guardia di Finanza invita a denunciare un proprio fornitore, un professionista con cui si ha avuto un rapporto di lavoro, un artigiano che ha eseguito una piccola opera. Non soltanto si spingono gli italiani a diventare delatori, ma in qualche modo addirittura li si obbliga, dal momento che - secondo La Repubblica - quanti si «rifiutino di rispondere al questionario» o danno risposte false o parziali rischiano una multa fino a 2mila e 66 euro e una denuncia. Tra l'altro, questo è avvenuto a Bari, proprio in quel Mezzogiorno in cui, come rilevato anche da esponenti di sinistra, per molte attività private l'evasione fiscale è l'unica alternativa a chiusura e fallimento. Come si è arrivati a ciò? Come è possibile che lo Stato promuova questi comportamenti, queste denunce di alcuni privati a danni di altri? Una prima risposta sta nel fatto che, ormai, i conti pubblici sono fuori controllo. Questo degrado dei comportamenti pubblici indica che potremmo davvero essere in prossimità di un collasso definitivo. Sarebbe insomma la paura a fare adottare i metodi più riprovevoli. Ma c'è anche altro. Nel suo ultimo libro, intitolato La mente servile, il filosofo Kenneth Minogue - scomparso qualche settimana fa - ha evidenziato come il trionfo dello Stato abbia portato a pensare che l'unica moralità consista nell'essere un cittadino ubbidiente. In questi tempi dominati dalle burocrazie pubbliche è considerato un «uomo giusto» colui che fa la raccolta differenziata, partecipa ai riti elettorali, paga le imposte, si mobilita contro l'omofobia e per la società multietnica, usa la bicicletta (o il bus) invece che l'automobile. Qui non si tratta di valutare se tutti quei comportamenti siano da lodare oppure no, ma è inquietante che l'universo etico, ormai, sia tanto ristretto. Se però la vita morale è tutta lì, qualsiasi mezzo è ritenuto legittimo per vincere la resistenza dei riottosi. Quando agli occhi di politici e funzionari è accettabile che un questionario spinga a denunciare altre persone, una cosa è chiara: ormai lo Stato pone al di sopra di tutto se stesso e la sua esigenza di assorbire risorse.

In una società civile, ogni istituzione è chiamata a guadagnarsi rispetto e credibilità attenendosi a un codice morale ben definito. Quanti invitano alla delazione stanno invece progressivamente disgregando il tessuto sociale. Diciamo loro di smettere.

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