di Ezio Savino
La città antica e il fuoco. Un binomio micidiale. I vicoli ostacolavano i soccorsi, gli spazi verticali tra i casamenti erano camini di tiraggio, le fiamme libere in cucine e laboratori domestici micce accese. La guerra ci metteva del suo. Heinrich Schliemann scoprì brandelli di case e muraglie carbonizzate nel secondo strato dei suo scavi, nella collina di Hissarlik. Secondo i calcoli, era la Troia di Priamo, divorata dall'incendio dei greci, dopo anni di assedio. I romani erano più drastici. Incendiata una città nemica, ne aravano le reliquie fumanti, seminando sale. Ma la stessa Roma era una metropoli votata al fuoco. Nel 390 a.C. ci pensarono i Galli invasori a farne terra bruciata. Il fuoco addentava a scadenze ravvicinate un'accozzaglia di case, le «insulae», con strutture di legno. L'evento più distruttivo scattò il 18 luglio del 64 d.C. Il «grande incendio di Roma» durò nove giorni, annientò due terzi dei quartieri, causò migliaia di vittime e duecentomila senzatetto. Creò la leggenda abietta di Nerone, allora sul trono. Sarebbe stato lui il principe dei dolosi, un imprenditore del disastro che avrebbe assoldato squadracce di incendiari. S'era creato anche un alibi. Era ad Anzio, quando il fuoco esplose. Tornò per godersi lo spettacolo. Paludato da attore, strimpellando sulla cetra, declamò il dramma La distruzione di Troia da lui composto. Il suo genio necessitava di uno scenario realistico, che nessun set, nessun effetto speciale avrebbero mai potuto offrirgli. Così lo vediamo in Quo vadis?, colossal del 1951, dal best seller di Henryk Sienkiewicz, con il ghigno untuoso di Peter Ustinov. Tutto oro colato? La critica odierna ne discute. Si cercano anche altri responsabili. Forse si trattò di immane speculazione edilizia. Il palazzinaro Nerone eresse una città nuova di zecca, con al centro la sua stellare Domus Aurea. Però introdusse la prevenzione. Le case non potevano avere fiancate comuni. Era obbligatoria la pietra albana, ignifuga, nelle fondamenta e nei pilastri portanti. Gli acquedotti ebbero derivazioni dedicate alle caserme dei «vigiles», gli onnipresenti pompieri. Dalle ceneri, sorse la prima capitale con moderni principi antincendio. Nei secoli successivi, Roma patì epidemie, carestie, saccheggi barbarici: ma fu meno esposta al flagello del fuoco. Fino a oggi. Protezione civile e apparati sono in allarme. I mezzi non mancano. Ma la tecnica non è tutto. Gli antichi veneravano, divinizzavano il fuoco. Ce n'era di buono, e si chiamava Vesta, la fiamma della casa e dello stato. Ma anche di maligno.
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