Roma - Cronaca di un fallimento. La Direttiva Rimpatri adottata dall'Europa nel 2008 a sei anni di distanza non sembra aver raggiunto neppure uno dei suoi obiettivi. Primo fra tutti evidentemente quello dei rimpatri degli immigrati irregolari nel loro Paese d'origine, che non era l'unico scopo della normativa ma sicuramente era quello prioritario.
La Commissione europea la scorsa settimana ha adottato una relazione sulla politica dei rimpatri che suona anche come un bilancio del lavoro fatto in questi anni. Le cifre forse tendono a semplificare questioni complesse ma restano il modo migliore per capire di che cosa si stia parlando.
Negli Stati membri della Ue nel 2010 è stato emesso un provvedimento di rimpatrio per 540.000 persone. Quante di loro hanno effettivamente lasciato la Ue? 199.000. Nel 2011 stessa storia: 491.000 gli ordini di rimpatrio, solo 167.000 quelli effettivamente usciti dalla comunità europea. Nel 2012 484.000 gli invitati a uscire, 178.000 quelli usciti. Dunque su un milione e 515.000 rimpatriati «virtuali» quelli reali sono stati soltanto 544.000. Ovvero soltanto uno su tre. La relazione avverte che anche le previsioni del 2013 confermeranno questo andamento.
A questi numeri si deve aggiungere quello dell'investimento di fondi europei indirizzati proprio al finanziamento del Fondo rimpatri per il 2008/2013 che ammonta a 674 milioni di euro, che dovrebbero essere serviti ai vari Stati a gestire i rimpatri. Bruxelles, ovviamente non parla di un fallimento, ma riconosce che la direttiva rimpatri è stato soltanto un primo passo utile anche per rendere più omogenee le legislazioni dei vari Paesi ma che ora occorre renderla più efficace.
È bene ricordare che la direttiva fu aspramente criticata al momento della sua adozione perché giudicata severa e repressiva. Le associazioni di migranti ma anche la Chiesa accusarono l'Europa di aver eretto con quel provvedimento un filo spinato lungo i suoi confini. L'accusa rivolta a Bruxelles fu quella di aver sbagliato impostazione puntando più ai rimpatri che al rispetto dei diritti degli immigrati. Ora queste critiche evidentemente trovano una risposta nel risultato dell'applicazione di quella direttiva forse severa, forse repressiva ma soltanto sulla carta. Dunque accanto all'accusa di mancato rispetto dei diritti fondamentali da un opposto punto di vista non si può non sottolineare il mancato rimpatrio della maggioranza degli irregolari.
Tra le priorità indicate nella relazione prima di tutto l'esigenza di un monitoraggio più stretto sull'effettiva attuazione della direttiva da parte degli Stati membri. In particolare si dovrà puntare di più sul rispetto dei diritti fondamentali ai rimpatri volontari che prevedono anche un piano di reinserimento per l'immigrato che torna nel suo Paese d'origine. Un passaggio che però esige accordi bilaterali con il Paese di provenienza che non sono sempre presenti e operativi. In molti casi non esiste la possibilità reale per un rimpatrio e sono pochissimi i Paesi in grado di offrire una struttura di supporto al migrante che di fatto resta sul territorio Ue.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.