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La Consulta sconfessa i Pm: "Napolitano non si intercetta"

Accolto il ricorso del Quirinale contro la Procura di Palermo: Ingroia non poteva spiare il capo dello Stato. E ora i colloqui tra il presidente e Mancino vanno distrutti

La Consulta sconfessa i Pm: "Napolitano non si intercetta"

Roma - La vittoria del Quirinale è totale, secondo le previsioni: vengono sconfessati Antonio Ingroia e gli altri pm siciliani.
Per la Corte costituzionale vanno subito distrutte le 4 conversazioni intercettate dalla Procura di Palermo fra Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino, indagato nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. Lo dice l'articolo 271 del codice di procedura penale.
Il verdetto arriva in serata, dopo l'udienza pubblica nel Palazzo della Consulta iniziata alle 11,20 e una camera di consiglio nel pomeriggio durata circa 4 ore. «Non spettava» alla Procura, dicono i 15 giudici costituzionali, «valutare la rilevanza» delle intercettazioni. Dovevano «chiedere al giudice l'immediata distruzione» e in modo da «assicurare la segretezza del loro contenuto», escluso il confronto con le parti.
Viene dunque accolta in toto la tesi del Colle, che ha sollevato il conflitto fra poteri dello Stato. Napolitano, naturalmente, non commenta. Si apprende solo che ha atteso serenamente e ha accolto con rispetto la sentenza della Consulta. Adesso, il presidente attende di conoscere il dispositivo della sentenza che sarà depositata a gennaio.
La posizione della Procura siciliana era opposta: le telefonate sono irrilevanti e destinate alla distruzione, ma le intercettazioni indirette sono legittime e ne deve decidere il destino il gip, dopo aver sentito le parti.
Le due posizioni si confrontano in mattinata nell'aula della Consulta. C'è anche il capo della Procura di Palermo, Francesco Messineo. Che alla fine dirà: «Le sentenze non si commentano mai. Dovremo leggere le motivazioni». Nino Di Matteo, uno dei titolari dell'inchiesta, assicura: «Ho la coscienza tranquilla, ritenendo di aver sempre agito nel pieno rispetto della legge e della Costituzione». Mario Serio, uno dei legali della Procura, esprime «grande sorpresa e delusione» e sottolinea il «grave rischio che questa distruzione può comportare per la difesa del terzo indagato», cioè Mancino.
Nelle stesse ore arriva la notizia che il procedimento rimarrà a Palermo: il gip Piergiorgio Morosini ha respinto tutte le eccezioni di competenza e la richiesta di trasferire gli atti al Tribunale dei ministri per gli ex membri del governo Calogero Mannino e Mancino, accusato di aver mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra nella stagione delle stragi degli anni '90. Ingroia commenta dal Guatemala, dove ha un incarico dell'Onu: «Una clamorosa smentita per quei tanti “Soloni” che davano per certa la nostra incompetenza». Una piccola vittoria prima della grande sconfitta della Consulta.
Nell'udienza alla Corte costituzionale l'avvocato generale dello Stato Michele Dipace sostiene le ragioni del Quirinale, difendendo il «principio della libertà delle conversazioni del presidente della Repubblica». I pm, spiega, hanno trattato queste «come normali intercettazioni, mentre sono illegittime», perché riguardano il Capo dello Stato, vietate dall'articolo 90 della Costituzione e dalla legge 219 del 1989. La Procura, spiega la collega Gabriella Palmieri, ha «prodotto un vulnus nella riservatezza del Presidente».
Sul fronte opposto il costituzionalista Alessandro Pace, legale dei pm con Serio e Giovanni Serges, che dice che il Quirinale rivendica un privilegio da regime monarchico e per tutelare la riservatezza dei file suggerisce il ricorso al segreto di Stato.

«Se si scoprisse da un'intercettazione fortuita che un presidente della Repubblica progetta un colpo di Stato, il pm dovrebbe distruggerla?».

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