Roma - Il primo a cogliere al volo l'occasione offerta dal portavoce della Merkel è stato Dario Franceschini: «Vogliamo chiudere la stagione dei tagli. La cultura è il petrolio dell'Italia». È assai probabile che nei prossimi giorni l'esempio del ministro dei Beni culturali verrà seguito da quasi tutti i colleghi. Uno escluso, Pier Carlo Padoan. Il ministro dell'Economia sarà impegnato a spiegare che le (poche) risorse che potranno essere liberate dal nuovo corso europeo dovranno essere concentrate sul fronte fiscale.
In primo luogo perché il ministero dell'Economia deve reperire 10/12 miliardi per dare copertura certa agli «80 euro»; poi, perché è intenzione del presidente del Consiglio allargare la platea di chi potrebbe beneficiare dello sconto fiscale. Anche utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla delega fiscale.
C'è un precedente storico a riguardo, a cui sembra fare riferimento proprio Steffen Seibert, portavoce della Merkel. Nel 2005 l'Italia ottenne la possibilità di superare il tetto di deficit del 3% proprio in virtù delle riforme strutturali presentate all'epoca. Ed erano: la riforma delle pensioni (lo scalone Maroni) e l'introduzione del secondo modulo della riforma fiscale, con conseguente ridisegno dei profili di aliquote e scaglioni Irpef.
La prima dava garanzie ai mercati di sostenibilità del debito (tant'è che Monti l'ha rispolverata con quattro anni di ritardo). La seconda restituiva potere d'acquisto ai cittadini/contribuenti. Entrambe le misure vennero cancellate dal secondo governo Prodi.
La riforma fiscale dell'epoca, e lo sblocco di alcuni cantieri agganciati alla «legge Obbiettivo», favorirono per i due anni successivi una crescita del Pil al ritmo del 2,7%, poi interrotta dalla crisi finanziaria del 2007. Ne consegue che se Renzi vuole risultati immediati a favore dell'occupazione e del Pil (come indicato dal documento italiano consegnato ad Hernan Van Rompuy) dovrebbe/potrebbe seguire l'esperienza del passato. Seppure aggiornandola ai tempi attuali.
E questo aggiornamento può essere rappresentato dalla spending review. Nessun governo, tantomeno quello italiano chiamato a gestire un debito pubblico sopra il 130% del Pil, può annunciare ufficialmente che è intenzionato a introdurre sconti fiscali non coperti da tagli di spesa strutturali. E la copertura agli sgravi fiscali arriverà dall'efficacia delle riforme che verranno applicate attraverso la spending review. Per queste ragioni, il governo ribadisce che non intende modificare il Patto di Stabilità europeo; ma conta di sfruttarne l'elasticità introdotta nel 2005.
Elasticità che consente «un prolungamento delle scadenze» - come dice Seibert - tant'è che «è stato già usato». Ed i primi a sfruttare i margini concessi furono proprio i tedeschi, durante un altro semestre di presidenza italiana della Ue, quello del 2003. La procedura d'infrazione contro la Germania venne congelata. Grazie a quella moratoria sul deficit, Berlino rimise in ordine i propri conti.
Ora la situazione è diversa. La maggioranza dei Paesi Ue supera il tetto di deficit. Ed in modo surrettizio quasi tutti stanno sfruttando quel «prolungamento dei tempi» previsto dal Trattato in caso di congiuntura negativa. Italia compresa, che ha portato al 2016 (dal 2014) l'obbiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio.
La mossa della Merkel, quindi, toglie quasi tutti gli alibi al governo Renzi. Ad eccezione di uno: il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione.
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