Tanto rumore per nulla? Edmondo Bruti Liberati ed Alfredo Robledo potranno continuare a litigare indisturbati nella procura di Milano, senza che nessuno dei due venga allontanato dall'ufficio.
La decisione arriverà solo domani, ma si profila al Csm un'archiviazione, per il procuratore e il suo aggiunto, delle pratiche aperte in Prima commissione (competente su incompatibilità) e Settima (sull'organizzazione degli uffici), anche se con critiche che potrebbero essere pesanti.
Per ora, l'organo di autogoverno della magistratura prende tempo. Ma sembra che i consiglieri di Palazzo de' Marescialli non vedano gli estremi per un trasferimento d'ufficio per incompatibilità per nessuno dei due protagonisti dello scontro meneghino: i comportamenti di Bruti e di Robledo non avrebbero compromesso autonomia e indipendenza dei loro rispettivi ruoli e la gestione dell'ufficio tutto sommato non sarebbe da bacchettare.
Possibile? L'aria si era capita giorni fa, quando il vicepresidente del Csm Michele Vietti era entrato a gamba tesa nella contesa, schierandosi apertamente con Bruti in un'intervista, perché a lui tocca l'esercizio dell'azione penale. E ieri è uscita sull'Unità l'intervista alla presidente di Magistratura democratica Anna Canepa, che per difendere il procuratore, uno dei leader storici della corrente, parlava di «obiettivo politico» e di «attacco all'indipendenza» delle toghe.
Così è chiaro: al Csm il cartello di sinistra Area fa blocco contro ogni critica a Bruti, nessuno ha la forza o la volontà di opporsi, tranne Antonello Racanelli, consigliere di Magistratura indipendente che osa chiedere ulteriori approfondimenti e ora medita di rompere ancora una volta il fronte nelle commissioni. I laici di centrodestra sono cauti perché temono che lo scontro di Milano venga utilizzato per mettere in discussione il principio della gerarchizzazione delle procure, rafforzato dalla riforma dell'ordinamento giudiziario. Così, tutto finirebbe senza né vincitori né vinti: non si tocca Bruti e neppure Robledo.
Eppure, la guerra di esposti, denunce di fuoco, rivelazioni sconcertanti sulla gestione delle inchieste, ha già provocato la sospensione di uno dei processi in questione, quello contro il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, per le presunte firme false del listino Formigoni nelle regionali 2010.
A questo punto, solo un'iniziativa disciplinare potrebbe scompigliare un sistema in cui, per contrappesi politici e correntizi, nessuno è responsabile di nulla. È probabile, infatti, che le due commissioni in caso di archiviazione trasmettano gli atti al Procuratore generale della Cassazione Ciani, perché le valuti nell'ambito della pre istruttoria disciplinare già avviata sul caso. E sarebbe strano, se la Settima commissione non passasse le sue carte alla Quinta, che si occupa degli incarichi direttivi e a luglio deciderà se confermare o meno per altri 4 anni Bruti alla guida della procura meneghina e se tra un anno Robledo dovrà rimanere nel suo ruolo.
Ieri in Prima commissione il relatore Mariano Sciacca (Unicost) ha presentato una prima bozza di lavoro, ma al voto si dovrebbe arrivare domani. Solo Racanelli potrebbe chiedere un'ulteriore verifica.
In Settima, invece, la relatrice Giuseppina Casella si è riservata di presentare oggi il suo testo.
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