Draghi non basta già più: Bce e Ocse gelano l'Italia 117%

di Francesco Forte

Dopo l'acqua calda o la zuppa saporita dovuta alla notizia che la Corte Suprema tedesca ha dato il via libera al finanziamento del Meccanismo europeo di stabilità (Esm) da parte della Germania è venuta l'acqua fredda o meglio la doccia gelata riguardante lo scenario economico italiano, nel quadro europeo, da parte della Bce medesima, da parte dell'Ocse e da parte dell'Ufficio Studi di Confindustria.
La Bce dice che l'Italia ha di fronte due scenari o, se si vuole, due strade (suscettibili di essere imboccate a seconda delle scelte che noi faremo). Con una crescita del pil media dell'1% l'Italia nel 2013 avrebbe un rapporto debito/pil che scenderebbe un pochino rispetto al livello del 123% atteso nel 2012; e nel 2020 potrebbe arrivare al 100%. Invece con uno scenario di inadeguato e tardivo recupero della crescita sia pure solo dell'1%, che in sé non è molto, ma è il massimo cui è lecito aspirare, nel 2013 il nostro rapporto debito/pil salirebbe alla inaudita percentuale del 125%. E nel 2020, pur con tutte le sofferenze dovute alla politica di rigore, ci troveremmo con un debito/pil del 117%. Sempre altissimo.
E qui arriva la seconda ondata di doccia fredda, questa volta con fonte Ocse. A causa della depressione economica e della scarsa possibilità di reagirvi, le nostre imprese stanno perdendo quota nella globalizzazione. Le «M&A» internazionali dell'Italia, cioè fusioni e acquisizioni, si sono ridotte al lumicino, mentre quelle medie di tutti i Paesi, che erano di circa mille miliardi di dollari, sono diminuite a 640 del 34%, ossia sono di meno, ma sono pur sempre un fenomeno notevole. Considerando che l'economia mondiale è rallentata, ma ancora cresce, rispetto alla dimensione del pil mondiale la quota di «M&A» italiane si riduce: la nostra economia si sta «deglobalizzando». Perde colpi sul mercato internazionale.
Ed ecco la terza doccia fredda, che viene dall'Ufficio Studi di Confindustria. In un anno i disoccupati sono aumentati di 780mila unità, ossia del 3% della forza lavoro occupata, che un anno fa era circa 23 milioni di persone. Inoltre dal 2007 ad ora gli effetti negativi della crisi sulla nostra economia hanno superato quelli provocati dalla prima guerra mondiale. È ironico il codicillo aggiunto dallo stesso Ufficio Studi, secondo cui non hanno ancora superato quelli della seconda. Da tutto ciò si deduce che il governo non può stare inerte rispetto ai compiti per il rilancio della nostra economia, che si ottiene agendo sulla capacità produttiva non utilizzata, quindi mediante contratti di lavoro flessibili e flessibilità nei contratti di lavoro, che aumentano la produttività dell'impresa e dei suoi impianti mediante le iniziative per le infrastrutture e per l'edilizia affidate in gran parte ai privati.
E mediante il credito a tassi ragionevoli per operare nei mercati internazionali con le necessarie nuove intraprese che valorizzano il made in Italy (anche alla ricerca di nuovi sbocchi) invece che farlo arretrare. Sono tre compiti in cui sino ad ora il governo Monti non si è cimentato o ha fatto interventi in opposta direzione.
Per il settore del lavoro, per l'articolo 18 occorre affrontare la questione dei licenziamenti disciplinari, in particolare in relazione all'assenteismo ripetuto e a comportamenti nello stabilimento che danneggiano la produzione, come quelli delle agitazioni sindacali effettuate non nei luoghi e tempi appropriati, ma alla catena di produzione. Soprattutto occorre togliere gli ostacoli alla attuazione dei contratti aziendali, lasciando a quelli nazionali solo il compito di indicare un quadro di riferimento a larghe maglie.
È assurdo che Fiat Auto sia dovuta uscire da Confindustria per attuare contratti aziendali approvati con referendum e poi bloccati dal contenzioso. Per il credito bisogna rilanciare tutti gli strumenti disponibili e adoperare la Cassa depositi e prestiti per finanziare l'economia, non per diventare una nuova Iri, che gestisce imprese pubbliche. Infrastrutture ed edilizia hanno bisogno di deregolamentazioni per sbloccare fondi europei ed italiani e di co-finanziamenti pubblici realizzabili mediante alienazione di beni pubblici o loro apporto alle iniziative in questione.


Insomma una politica pro crescita conforme al mercato per rivitalizzare energie che ci sono ma hanno bisogno di una spinta.


Per la Bce se l'Italia non continuerà l'azione di risanamento, il debito/pil si attesterà al 117% nel 2020

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