Le ditte italiane avevano già cominciato a subire le rappresaglie economiche dell'India a tal punto che l'ambasciatore Daniele Mancini ha dovuto scrivere al governo di Delhi paventando «pratiche discriminatorie». Quattrocento nostre aziende erano a rischio di ritorsioni se i marò non fossero tornati in India e per questo abbiamo calato le braghe.
L'inserto finanziario dell'Hindustan Times ha rivelato che l'ambasciatore Mancini ha inviato una lettera al ministro del Petrolio indiano, Veerappa Moily, denunciando la «percezione di un comportamento scorretto» a danno della società Drillimec del gruppo Trevi.
Mancini era stato bloccato in India dalla Corte suprema, in sfregio alla sua immunità diplomatica, quando da Roma avevano annunciato che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non tornavano in India. «Nel mezzo delle tensioni fra i due paesi per i marò» l'ambasciatore, arrivato appena a gennaio, ha preso carta e penna per denunciare, secondo il giornale, che «nonostante l'impresa Drillimec si sia per due volte qualificata con il preventivo più basso, Oil India stia assegnando una commessa per due trivelle ad un'altra compagnia». Oil India è la seconda compagnia di stato indiana e l'affare riguarda 36 milioni di euro di trivelle petrolifere. La Drillmec dell'italiana Trevi teme che la decisione indiana «potrebbe derivare da pratiche discriminatorie», come scrive il diplomatico. Per questo motivo Mancini invita il ministro del Petrolio a «esaminare la questione in via prioritaria al fine di accertare la verità e garantire la reputazione di Oil India e che gli interessi legittimi» della società italiana «non vengano danneggiati». Il ministero del Petrolio ha confermato di aver ricevuto la lettera di recente.
La vicenda dell'appalto sulle trivelle è solo la punta dell'iceberg. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, nella fatidica riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza del 21 marzo, che ha segnato il voltafaccia sui fucilieri di Marina, aveva elencato le possibili ritorsioni indiane. I dettagli sono incerti, ma qualcuno parla di rappresaglie sulla Piaggio che a Baramati ha un polo industriale ed è leader del mercato indiano con 220mila vendite all'anno. Altri di una restrizione sui visti e blocchi di navi italiane nei porti indiani o divieti di accesso. Terzi in Parlamento ha parlato chiaramente «di minacce ritorsive» da parte dell'India, «anche in campo economico», se i marò non fossero tornati.
Dal 1991 il nostro interscambio commerciale con Delhi è aumentato di 12 volte arrivando a 8,5 miliardi di euro. Nel 2011 il nostro paese è diventato quarto partner commerciale dell'India, anche se nel primo semestre del 2012 c'è stata una contrazione dell'import-export.
Lo stesso Terzi ha citato alla Camera, come arma migliore di pressione nei confronti degli indiani, il blocco del trattato commerciale fra Ue e India in via di definizione. Un accordo fortemente voluto da Catherine Ashton, rappresentante estera della Ue, che non si è mai spesa troppo sui marò. Peccato che lo stop dello stesso accordo da usare come grimaldello con l'India è uno degli obiettivi del governo.
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