Gian Marco Chiocci
Simone Di Meo
Napoli - Quando l’assessore al Bilancio del Comune di Napoli, Riccardo Realfonzo, abbandonò polemicamente la giunta Iervolino, proprio di questi tempi, un anno fa, lo trattarono come fu trattato Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia degli anni Settanta. Lo presero per un pazzo visionario, perché aveva semplicemente detto la verità: «Centri di potere usano le società partecipate come macchine per il consenso ». I media in questi giorni danno addosso al sindaco di Roma dimenticandosi di quel che l’assessore locale diceva dodici mesi fa e che oggi sembra avverarsi all’ombra del Vesuvio dove ben sei inchieste penali e due contabili stanno scoperchiando la parentopoli napoletana amalgamata su quei centri di potere che hanno provocato un buco di oltre un miliardo di euro. L’ipotesi dei magistrati è che in almeno otto delle ventidue società partecipate da 9mila dipendenti sono stati illegalmente assunti mogli, amanti, parenti, compagni di partito e di sindacato, amici loro e amici degli amici. Contrattualizzati grazie a chiamate dirette o ad assunzioni pilotate attraverso il ricorso ad agenzie interinali «vicine» e a bandi di selezione sartoriali, pubblicati solo sul web e senza indicazioni di scadenza, che avrebbero favorito chi per quel posto era stato già individuato.
Finora,
sono dodici le parentele accertate, ma la mole di documenti che i
pubblici ministeri stanno studiando - e che riguardano, in
particolare le partecipate Napoli Sociale, Arin (servizi idrici),
Napoli Servizi, Anm (trasporti pubblici) e Napolipark (parcheggi e
aree di sosta) - apre a scenari del tutto imprevedibili, che potrebbero
legare l’inchiesta sulla parentopoli alle maxi-truffe dei finti ciechi
e dei corsi di formazione per operatori socio-assistenziali,
inseriti nelle graduatorie comunali per l’assistenza dai diversamente
abili.
Un lavoro investigativo complicato che, dopo aver
individuato le responsabilità a livello amministrativo, si sta
concentrando sulle coperture politiche assicurate all’operazione e che tra non molto potrebbe
arrivare a sfiorare anche la galassia delle partecipate della Regione
Campania, dove- Bassolino regnante - sarebbero stati replicati gli
stessi presunti schemi truffaldini ideati per il Comune. Schemi peraltro
già venuti alla luce con le assunzioni di massa nella gestione
dell’emergenza rifiuti allorché, con la reggenza di don Antonio
commissario straordinario, fra il 2000 e il 2004 vennero assunti senza
concorso, a tempo indeterminato, ben 2.300 lavoratori socialmente
utili per la raccolta differenziata. In un
dossier del successore di Bassolino, Corrado Catenacci, si raccontava
ad esempio che furono «raccomandati anche i camorristi» e che venne
preso anche «chi aveva una fedina penale non certo immacolata
(...). Questi lavoratori sono stati suddivisi o, come si dice,
“spalmati” in 18 consorzi che molto spesso sono nati per comodità di
qualcuno, per trovare posto a personaggi “ trombati” in precedenti
incarichi politici ».
A dare linfa alle
nuove indagini non solo le testimonianze di persone informate dei
fatti e i documenti sequestrati in questi mesi in Comune, ma anche e
soprattutto le decine di lettere anonime,
che giungono sulle scrivanie dei magistrati. Racconti,
dettagliatissimi, delle nuove assunzioni e dei legami consanguinei che
le avrebbero agevolate.
Qualche esempio: in «Napoli
sociale», l’azienda che si occupa di gestire i servizi sociali, sono
stati assunti, quest’anno, tre coordinatori: la nuora di un segretario
della Uil, la figlia di una coordinatrice di un consorzio, e un
personaggio considerato molto vicino a Sinistra e
libertà, il partito dell’assessore alle Politiche sociali. E di SeL fa
parte anche il marito di una segretaria della Cgil assunto per la
gestione e la manutenzione dei mezzi. In Metronapoli, invece,
si indaga sulle assunzioni della moglie e del figlio di due
consiglieri comunali di centrosinistra;ma sitratta della punta
dell’iceberg di una ramificata «macchina dei piaceri » che, secondo
indiscrezioni, vedrebbe coinvolti anche alcunivertici nazionali della
Triplice, che avrebbero agevolato il ritorno a Napoli di oltre 200
autisti di mezzi pubblici, assunti in altre parti d’Italia. Almeno una
trentina gli indagati, tra dirigenti comunali, sindacalisti, vigili
urbani e faccendieri, una sorta di «cricca» che non avrebbe soltanto
dispensato posti di lavoro e consulenze, ma anche appartamenti del
patrimonio residenziale comunale grazie a provvidenziali salti in alto
nelle relative graduatorie, ottenuti grazie alla solita «buona
parola». E che la situazione fosse esplosiva, a Napoli, se ne sono
accorti in tempi non sospetti pure i sindacati che in una missiva
riservata agli assessori al Personale e allo Sviluppo, nel settembre
scorso, hanno chiesto un incontro urgente per la stabilizzazione degli
Lsu (Lavoratori socialmente utili) nelle società partecipate del Comune,
perché preoccupati «dalle note vicende che hanno riempito la stampa nel
mese di agosto sulle indagini della magistratura nel pianeta delle
Vostre partecipate, che rendono il clima
pieno di negative tensioni che potrebbero sfociare in episodi di
turbamento dell’ordine pubblico ». Come a dire: se le promesse non
saranno mantenute, la città rischia di essere messa a ferro e fuoco. A
incendiare gli animi anche le dichiarazioni di una collaboratrice di
giustizia, Alexandra Denaro, arrestata nel filone sulle pensioni di
invalidità corrisposte a persone perfettamente sane grazie alla
complicità di funzionari della prima municipalità.
I vertici delle municipalizzate, ovviamente, negano tutto. E con loro
anche l’assessore alle Risorse strategiche, Saggese: «I dati
parlano chiaro. Su 14mila unità lavorative delle 27 aziende, meno dell’1
per cento è stato assunto con chiamata diretta. E laddove c’è stata
la chiamata diretta, tali assunzioni sono state fatte, negli ultimi
due anni e mezzo, nelle categorie previste dalla legge, cioè figli di
caduti sul posto di lavoro, invalidi e dirigenti a tempo determinato».
Dunque, «niente parenti». La procura non la pensa affatto così.
L’indagine va avanti.
Crescono di numero gli indagati. Gli
accertamenti si moltiplicano. Gli episodi d’assunzioni d’oro pure. Trema
il centrosinistra, sbanda il sindacato. Il «caso Napoli» fa gridare
allo scandalo. E scandalo sia.
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