Attivisti, di Antonio Pannullo, è per me un bel libro malinconico, un come eravamo senza il lieto fine. Da allora è cambiato tutto, e però è come se non fosse cambiato niente.
L'«estraneità», dico, l'essere una specie di «banda a parte», è rimasta la stessa, senza illusioni e avendo fatto il pieno delle delusioni. Quarant'anni dopo ti volti a guardare i tuoi vent'anni del tempo della militanza e, bene o male, gli amici, i rituali, il gergo, sono rimasti gli stessi, la grande glaciazione di chi lottava per il disgelo e quando poi il disgelo è arrivato si è reso conto che significava sciogliersi e non avere nulla in cambio. Meglio ibernati, dunque, coerentemente inutili, testardamente legati a una «certa idea» della politica e della vita. Più estetica che ideologica, fallimentare quindi, e però calda, umana. Confesso che ho perduto. Confesso che ho vissuto.
A me non piacciono i reducismi, detesto gli amarcord. Ma Attivisti racconta in filigrana qualcosa di diverso, difficile da spiegare, eppure palpabile. Anni fa, in un libro che si chiamava Compagni di solitudine, provai a definirlo prendendo a pretesto una frase del Lord Jim di Joseph Conrad: «È uno di noi». Stava a indicare un tipo umano in cui alla rinfusa c'erano dentro tante cose: il sentirsi diversi e il sentirsi «esuli in patria», un acuto e quasi insopportabile senso dell'onore, un io ipertrofico al tempo della società e del conformismo di massa, il gusto della provocazione e la volontà di essere protagonista, il non arrendersi mai.
Gli anni Settanta sono stati anni tragici, si sa. Ma ciò che li rende ancora più penosi è che sono stati anni inutili. Li abbiamo attraversati reclamando il nostro diritto a esistere, ad avere una voce, a sostenere un'idea, e qualcuno per questo c'è anche morto, la vittima di una strana, assurda guerra da ragazzi della via Paal dove non si moriva per una polmonite, ma per un colpo di pistola, di spranga, di chiave inglese... Oggi non li ricorda più nessuno, nemmeno quella destra politica che avrebbe potuto e/o dovuto rivendicarli, non fosse che è sparita anch'essa, ingoiata nel dimenticatoio delle false attese, delle intese sbagliate. Mai come da quando la parola Destra ha avuto il suo quarto d'ora di celebrità, ha smesso di avere un senso. Ciò che è rimasto è una memoria di parte, individuale e comunitaria, comunque minoritaria. È storia di ieri, ma per un ragazzo d'oggi è come se fosse un secolo fa. Non gli interessa, non la conosce.
A vent'anni la politica è un gioco affascinante, ma il più delle volte se ne esce scottati. Dei tanti nomi che Attivisti elenca, e che io conosco, per amicizia diretta, per frequentazione saltuaria, per sentito dire, la maggioranza ha poi scelto la strada delle professioni, riservando a quelli divenuti politici in «spe», «servizio permanente effettivo», un sentimento che sta fra l'insofferenza, la sopportazione, il disprezzo e il disgusto. Per uno di quei curiosi paradossi della storia, i cosiddetti professionisti della politica di destra e/o neofascista si sono rivelati i becchini dell'attivismo che fu. Lo hanno fatto vincere, ma sotterrandolo. La conquista del potere, trasformata in potere che dà la conquista, pura e semplice, senza complicazioni di sorta, senza un motivo, un sentimento, un pensiero. Il grado zero della politica, o il degrado, fate voi.
Deriva da ciò qualcosa che si fa fatica ad accettare, ma su cui bisogna riflettere. Fino a quando la storia, e la cronaca, hanno perpetuato il «ghetto dei vinti», l'illusione di una «diversità», di una «sanità» ne è stato il cemento e la ragione del fascino. Si stava lì, dalla parte del torto, perché scomoda, non redditizia. Non prometteva carriere. Quando, con la caduta del muro di Berlino è venuto giù tutto, «ghetto dei vinti» compreso, ci si è accorti che lì dentro, politicamente parlando, i politici in «spe» di cui sopra, e quelli di complemento, era come fuori (le eventuali eccezioni, si sa, confermano la regola): la stessa ansia di conquista, di sedersi al tavolo imbandito della vittoria, la stessa voglia di affari, prebende, privilegi.
Il verme era nella mela, detto brutalmente, detto semplicemente.Così, gli esclusi di ieri, gli attivisti esclusi di ieri, si sono ritrovati a essere gli esclusi dell'oggi, un piccolo-grande esercito senza altre bandiere che sé stessi. Questo libro rende loro gli onori.
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