Fassina, il Forrest Gump del Pd che fa il parafulmine del leader

È lo stratega economico, ama le tasse come il suo maestro Visco e sogna piani decennali veterocomunisti. E gli ex Dc lo odiano

Fassina, il Forrest Gump del Pd che fa il parafulmine del leader

Oltre alla grana di Matteo Renzi, il Pd ha quella di Stefano Fassina, il responsabile economico. L’uno spacca il partito da destra, l’altro da sinistra. Sono tutti e due un po’ matti, col ciuffo ribelle, scassabiglie e pigliafon­delli. Fassina non ha però il seguito di Renzi e, anche sul piano del curriculum, perde il confronto poiché ha già 46 anni, contro i 37 del sindaco di Firenze. Ma non è da escludere che presto colmi il distacco. In­fatti, è dotato di una magistrale impronti­tudine che gli sta accelerando la carriera. Nonostante le sue idee rappresentino la quintessenza dell’antimodernità, il sini­strismo più ottuso, il ritorno al pansinda­calismo operaistico anni Settanta, se ne impipa e va avanti per la sua strada. Anzi, cavernicolo com’è, si proclama araldo dell’avvenire, contro i Monti, Tremonti, europei e americani, loro sì residui inutili del capitalismo morente. Insomma, guar­da la realtà col binocolo rovesciato e ci si trova benone. Uno così, o lo mandi in Si­beria- ma un nostalgico come lui fiorireb­be- o te lo cucchi tale e quale. È ciò che fa­remo perché ci è simpatico.

L’ultimo a chiederne la testa, una setti­mana fa, è stato Enrico Letta, il compassa­to e prevedibile vicesegretario del Pd che essendo democristiano fino all’osso non sopporta il cripto marxismo di Stefano. A fargli girare le scatole, quattro colonne a firma Fassina sul Foglio dal titolo:«Rotta­mare l’agenda Monti», aspro attacco alla politica economica del governo. Letta, che è montiano come metà del Pd, è sbot­tato: «Si è passato il segno», che tradotto significa: «Cacciamo questo impiastro». Inutile dire che il novanta per cento dello scritto fassiniano è condivisibile, perché lo sfacelo Monti è sotto i nostri occhi. Ba­sta asciugare le lacrime per vederlo.

Questo non significa, naturalmente, che preferiremmo Fassina al posto di quel che fu SuperMario. Stefano, come poi vedremo, è allievo di Vincenzo Visco, il famoso Dracula del Fisco, ed è della sua stessa pasta: detesta i ricchi, i beni al sole, le pensioni superiori al mi­nimo. Ha già fatto sapere che risolverebbe il proble­ma del debito pubblico con una supertassa. Per­ciò, è conosciuto nel suo stesso partito come «Mi­ster patrimoniale».

Le dimissioni di questo scavezzacollo sono state chieste numerose volte. A farlo, sempre i cosiddetti moderati del Pd, ex dc, lai­ci o pci rinsaviti. Nel no­vembre 2011, per esem­pio, ebbero una reazione analoga a quel­la di Letta quando per la prima volta Stefa­no se la prese col governo Monti che, per essere appena nato, era ancora incolpe­vole. A inalberarsi fu la corrente del Pd detta liberal che ingiunse a Fassina di spa­rire perché le sue posizioni rispecchiava­no le ali estreme- Cgil, Camusso e vendo­lismi vari - e non loro. Una scaramuccia senza conseguenze. Quello che mi colpì in quella vicenda - se mi consentite il ri­cordo - non fu tanto l’attacco a Fassina, ma che a condurlo ci fosse Ludmilla Barzi­ni, discendente dei due Barzini, grandi li­berali veri, e ora agitatrice nel Pd di Bersa­ni.
Stefano, dunque, è uno che semina ziz­zania come respira, tanto che nel Pd lo chiamano Forrest Gump per il genio di di­re la cosa sbagliata nell’ora più infausta.
Resta da sapere se impazza per conto pro­prio o abbia invece le spalle coperte. Nes­sun dubbio: è coperto. I pezzi da novanta del Pd, tutti di provenienza comunista, da Max D’Alema a Pier Luigi Bersani,non solo sono dalla sua parte ma lo imbotti­sco­no del tritolo che ogni tanto fa scoppia­re con un disegno preciso. Stefano è il ca­po dei «giovani turchi» che sostengono il segretario Bersani. Il quale,pover’uomo, soverchiato dalle molte«anime»del parti­to, deve tenerle a bada per governarlo. A Fassina spetta il ruolo di mazziere. Do un paio di esempi. Se la concorrenza di Ven­dola, notorio antimontiano, diventa trop­po forte, il Nostro spara a sua volta contro Monti in nome del Pd e copre Bersani a si­nistra. Oppure, se Vendola se la prende con Renzi attirando a sé i trinariciuti che lo hanno in antipatia, subito Fassina at­tacca Renzi per respingere la manovra di inserimento di Vendola e ribadire che il Pd ha un solo caro leader, Bersani. So be­nissimo che sono follie. Se vi paiono in­comprensibili, credetemi sulla parola: compito del Nostro è fare il paraninfo del segretario.

Fassina è il classico pollo in batteria del partito, di quelli che un tempo uscivano a frotte da Botteghe Oscure (la vecchia se­de del Pci). Possiamo considerarlo un frutto tardivo o la primizia di una nuova generazione di cloni telecomandati da Largo Nazareno (la nuova sede del Pd). Romano di nascita, Fassina si è laureato in Economia nella milanese Bocconi,pa­radossalmente l’università del cuore del­lo sbertucciato Monti. Ciascuno però è bocconiano a modo suo e secondo un condiscepolo, Stefano era «bocconiano sì,ma che occupava le aule».Nell’Ateneo guidava Sinistra Giovanile, l’ex Fgci degli universitari comunisti. Con la laurea, lo Stato consegnò Fassina al partito che ne ha completata la formazione, proprio co­me il Pci, negli anni ’50, plasmava in pro­prio agitprop, funzionari e intellettuali or­ganici. Ad adocchiarlo, sono Visco e Ber­sani, soci alla pari del think thank, Nens (Nuova Economia Nuova Società). È il la­boratorio principe di ogni genere di tasse di cui Stefano è oggi il direttore scientifi­co.

Condotto per mano dai due, fu poi in­trodotto nei santuari del potere. Dal ’96 al ’99 è stato al Tesoro come consigliere di Ciampi. Col governo del Cav, nel 2001, emigrò a Washington al Fmi dove restò un lustro. Qui firmò un paio di rapporti piuttosto liberisti che gli sono stati rinfac­ciati da sinistra ( Il Manifesto ) per ammo­nirlo a non riprovarci. In particolare, è sta­to preso di mira uno studio sullo Zambia in cui era auspicata per il Paese africano la massima flessibilità sul lavoro, la stessa che Stefano aborre per l’Italia. Più che peccato di gioventù, era normale oppor­tunismo di un giovanotto che, sia pure di sentimenti comunisti,stava facendo car­riera nel cuore dell’Occidente. Rimpatria­to, tornò con naturalezza all’età della pie­tra. Entrò nello staff di Visco, vicemini­stro del Prodi II, e contribuì con tutta l’ani­ma ad alzare la pressione fiscale di due punti in due anni (2006-2008). Con il ritor­no del Cav a Palazzo Chigi, il gruppazzo dei suoi creatori ex comunisti, compiaciu­ti dei suoi orientamenti statolatri, lo ha imposto responsabile economico del Pd. Fassina ha ora un’ambizione: battere culturalmente liberismo e mercato per sostituirli, si presume, con la maestà del­l’Erario e piani decennali (di decrescita).

A Roma, il 14 settembre, Stefano ha riuni­to per la prima volta, e in gran segreto, una task force di giovani economisti della sua stessa fede per

gettare le basi della ri­voluzione neomarxista. Ha già program­mato, con i medesimi soggetti, altre riu­nioni a porte chiuse. L’auspicio,accomia­tandoci da lui, è che perda la chiave.

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