Lassù, tra i ghiacci della Siberia, la guerra del gas è finita. La pace è stata siglata venerdì scorso con il voto alla Duma dell' emendamento che sancisce la fine del monopolio di Gazprom sulle esportazioni di gas. Ora per farlo diventar legge basta un' altra votazione e la firma di Vladimir Putin. Ma l'accordo c'è e lo Zar può anche permettersi un viaggio d'affari. Del resto alcuni dettagli di quell'accordo, fondamentale per un'ulteriore crescita delle esportazioni di gas russo, richiedevano la collaborazione di due aziende italiane. O meglio avevano come presupposto essenziale la disponibilità di Eni ed Enel a cedere il controllo del 49 per cento di Severenergia, società proprietaria di quattro licenze estrattive cruciali per lo sfruttamento del gas siberiano.
Quelle quattro licenze- acquisite all'asta del 2007 per il fallimento della Yukos dell'ex oligarca Mikhail Khodorkovskypromettevano di regalare la supremazia ad uno dei concorrenti trasformando la guerra del gas siberiano in uno scontro infinito. Ma uno scontro senza compromessi sul fronte siberiano rischiava di rendere problematici gli affari di una Russia decisa a raddoppiare i suoi commerci di gas liquido arrivando al controllo, entro il 2020, del 10 per cento del mercato mondiale. Un obbiettivo facilmente realizzabile vendendo il gas siberiano ad un Giappone costretto a rinunciare all'energia atomica e ad una Cina obbligata a sostituire il carbone con un prodotto meno devastante sul fronte dell'inquinamento ambientale. Per aprire quelle esportazioni a Rosneft, il gigante di Stato rimasto fin qui legato al petrolio e a Novatek, secondo produttore russo di gas, bisognava però evitare un eccessivo malumore di Gazprom. Un tassello fondamentale per chiudere quel rompicapo era appunto il 49 per cento di SeverEnergia controllato da Eni ed Enel.
La prima a metterci gli occhi sopra era stata Rosneft che a metà di settembre aveva chiuso unaccordo per l'acquisizione del 19,6 di SeverEnergia posseduto da Enel. Per l'azienda italiana, decisa a ridurre i debiti concentrandosi sulla produzione di energia elettrica, i 1300 milioni di euro incassati dal gigante petrolifero russo erano stati una vera manna. L'acquisizionedegli assetti di SeverEnergia rimasti a Eni rischiava di portare Rosneft al 49 per cento rendendo ingestibile, visto che il restante 51% era di Gazprom, lo sfruttamento delle licenze estrattive. Per Eni, del resto, giocare all'ago della bilancia in una partita tanto complessa rischiava di rivelarsi estremamente rischioso.
La soluzione migliore, benedetta probabilmente da zar Putin, era una cessione della fetta di Eni ad un consorzio guidato da Gazprom e da Novatek. In questo modo Rosneft si affacciava al mercato delle esportazioni senza alterare troppo il settore, Novatek acquisiva nuove produzioni al fianco dell'ex monopolista e Gazprom si garantiva una presenza anche sui mercati orientali. Un accordo realizzatosi puntualmente alla vigilia del voto della Duma e del viaggio italiano di Putin quando l'Eni ha intascato i 2 miliardi e 940 milioni di dollari in contanti ( 2,18 miliardi di Euro) offertigli per cedere il 29,4 di SeverEnergia a Gazprom e Novatek. Un malloppo che alla fine del 2013 gli consentirà di ridurre dal 18 al 13 per cento il rapporto fatturato-debito. E di approfittare della vista di Zar Putin per trattare nuovi affari. Anche su altri fronti: nei primi sei mesi dell’anno l’interscambio Italia-Russia è cresciuto del 15,9%, tra Difesa, settore bancario e infrastrutture. Per non parlare dell’interesse russo per moda e turismo tricolore.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.