I baroni contro la Gelmini: volevano fermare la riforma

I prof coinvolti in una concorsopoli parlavano di usare ogni mezzo contro le nuove regole che avrebbero impedito gli accordi sottobanco

I baroni contro la Gelmini:  volevano fermare la riforma

«Bisogna “convincere” la Gelmini a cambiare la riforma». Quei professori universitari sarebbero arrivati anche a questo pur di mantenere il loro potere di baroni nella facoltà gestita come fosse «cosa loro». Sarebbero arrivati anche ad esercitare pressioni su un membro del governo, un ministro, se la Procura di Bari non avesse aperto un’inchiesta mettendoli sotto indagine e mandando così all’aria i loro piani.

Emergono particolari sconcertanti dall’indagine sulla Concorsopoli aperta dai magistrati baresi quasi quattro anni fa. Nel mirino degli inquirenti una larghissima rete di favori e scambi che intercorreva tra ben 11 atenei italiani e 22 professori per truccare i concorsi universitari in modo da far assegnare le cattedre ai propri candidati. Le ipotesi di reato avanzate dai pm Renato Nitti e Francesca Romana Pirrelli sono pesantissime: associazione per delinquere finalizzata a corruzione, abuso d’ufficio e falso ideologico.

Una ragnatela di corruzione e nepotismo che aveva il suo cuore nei vari dipartimenti di Diritto Pubblico degli atenei coinvolti e una sorta di cabina di regia nella facoltà di Scienze politiche del capoluogo pugliese. Tra gli atenei che risultano coinvolti persino la Bocconi di Milano poi le università di Napoli, Roma, Piacenza, Reggio Calabria, Bologna, Firenze, Macerata, Teramo e Messina.

I primi fatti risalgono addirittura al 2006 e sarebbero una decina i concorsi risultati truccati. Non sapevano di essere intercettati quei professori mentre si scambiavano telefonate pianificando i reciproci favori nei concorsi. E soprattutto non sapevano che qualcuno stava ascoltando le loro conversazioni mentre commentavano preoccupati le notizie sull’arrivo della riforma del governo Berlusconi. Ma perchè le nuove norme volute dal ministro Mariastella Gelmini e approvate nel dicembre del 2010 li preoccupavano tanto? Perchè la riforma rappresenta una vera e propria zeppa nel meccanismo che ha permesso per decenni ai baroni di gestire le cattedre universitarie come fossero a loro disposizione. Fondamentale aver cambiato le modalità di formazione delle commissioni che prima erano «fatte in casa» e potevano essere facilmente orientate dal barone di turno.

Sembra infatti che dalle intercettazioni emerga la preoccupazione proprio per questo punto, ovvero il diverso meccanismo di selezione delle commissioni. La riforma infatti prevede soltanto commissioni nazionali, non più locali, i cui membri sono scelti tramite sorteggio. Diventa impossibile mettersi d’accordo prima, come facevano questi professori incontrandosi durante convegni e congressi secondo la formula «tu fai passare il mio candidato e alla prossima io faccio passare il tuo».

Con la riforma poi è diventato impossibile per i baroni piazzare l’intera famiglia all’interno del proprio raggio di potere, visto che non possono essere chiamati da un ateneo come professori coloro che hanno «parenti e affini» fino al «quarto grado compreso» con un professore che appartiene al dipartimento o alla struttura che bandisce il posto.

Determinante infine l’introduzione del Codice etico contro i conflitti di interesse .

Ma gli indagati come pensavano di poter convincere la Gelmini a cambiare idea? Sembra che nelle intercettazioni si faccia riferimento a conoscenze nel ministero che avrebbero potuto influenzare le scelte del ministro.

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