Lo Stato sconfessa lo Stato. Da tempo ho scritto al presidente Napolitano che lo Stato era contro la Sicilia, e lui ne era stato il braccio firmando il decreto di scioglimento di Salemi. E oggi Napolitano è costretto, come parte lesa, a stabilire un conflitto tra poteri dello Stato con un procedimento che denuncia le prepotenze della Procura di Palermo. Con ciò riconosce che quella Procura è un pezzo deviato dello Stato. Un bel pasticcio, nel quale chi nulla ha fatto viene incriminato in nome di una verità che si manifesta in espressioni di fanatismo, per una gara a mostrare chi ha più titoli contro la mafia, denunciando fantomatiche trattative per umiliare la politica e ingigantire la potenza della mafia. La parola d'ordine è: trattativa. Non, come è stato, difficile resistenza. La mafia se ne compiace (Martelli conferma e ride). Così non si esita a coinvolgere persone di specchiata onestà come Giovanni Conso. E a mettere nell'angolo un politico rigoroso come Nicola Mancino, dimenticando che egli è stato il vicepresidente del Csm e che il suo presidente era Napolitano che ora si accusa di avere ricevuto una telefonata dal suo vice. Due noti amici della mafia! Inaudito. A tal punto da scandalizzare Eugenio Scalfari, noto fiancheggiatore delle procure. Troppo facile dire che era sotto controllo il telefono di Mancino, semplice «privato» cittadino. Con ciò avrebbe dovuto evitare di telefonare al presidente della Repubblica? Oggi Napolitano entra nella parte della vittima e chiede giustizia vera contro la falsa giustizia di chi ha interesse a vedere complicità fra Stato e mafia. Con questa posizione del capo dello Stato, la riunione in Procura dei magistrati di Palermo è un atto sovversivo per concordare una verità di comodo. Cercheranno la complicità di Grillo, per fare credere che l'anti Stato che rappresentano sia lo Stato. Cossiga docet. Ma troppo tardi.
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È stata ammirevole Rosy Bindi nell'appassionata difesa non dei valori cristiani del matrimonio, rispetto alle unioni omosessuali, ma della difesa politica degli alleati cattolici. La questione, infatti, non è morale o civile e neppure personale. Il problema non riguarda la democrazia interna del Pd. Il rifiuto di mettere ai voti il documento con gli ordini del giorno di Paola Concia e Ivan Scalfarotto non era un capriccio, ma il tentativo, coerente e rigoroso, di non compromettere l'annunciata alleanza del Pd con l'Udc, salvo credere che Casini sia disponibile a stare con il Pd. È evidente che vanno salvaguardati i confini che rendono compatibile un accordo politico. Ed è impensabile che l'unico partito dichiarato dei cattolici accetti una posizione del Pd opposta ai suoi principi. In sintesi, tutti culi e addio Casini.
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La perversione della magistratura si è manifestata ancora una volta con la vicenda di Luigi Lusi (nella foto), indagato per calunnia mentre i vertici della Margherita sono stati riconosciuti vittime, con il rovesciamento del teorema su cui è stata edificata Tangentopoli: potevano non sapere. Non saprei se questa conclusione sia una vittoria per Rutelli. Che, a fronte di una delega al tesoriere, si appaga nel riconoscimento di non avere saputo nulla. In realtà, una parte minoritaria di magistrati ha pensato che le dichiarazioni di Lusi sui suoi rapporti con Rutelli fossero plausibili. Questo in parte spiega la troppo disinvolta condotta del tesoriere. Il dialogo fra i due è plausibile. «Francesco, ma per fare questa cosa, per immobilizzare, dobbiamo avere un soggetto proprietario; il soggetto proprietario non sarebbe bene che fosse Margherita... sarebbe bene che fosse un altro soggetto». Rutelli risponderebbe: «Beh, fai tu
Non ti devo dire io quello che devi fare... Che ti pago a fare?». Ancora più convincente un tratto comportamentale di Rutelli: «Non c'era la possibilità di ripetere due volte la stessa cosa, era infastidito dal ripetere le cose delicate ad alta voce, perché immaginava sempre di essere intercettato
».
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