Gli italiani ricchi (quelli che sono riusciti a sopravvivere all'interminabile sequela di stangate fiscali) non credono nell'euro e nelle ricette del governo Monti. Dimostrando purtroppo scarsa fiducia anche nel nostro Paese. È quanto emerge dalla consueta indagine di Schroders, società globale di gestione fondi, effettuata su un campione di 1.341 risparmiatori di 12 Paesi europei con un patrimonio investito di almeno 60mila euro. Le risposte dei nostri concittadini sono state inequivocabilmente in controtendenza rispetto al resto del Vecchio continente. Alla domanda di Schroders «dove pensate che i vostri soldi renderebbero di più?», due italiani su cinque (il 41%) hanno replicato: «In Asia e nel Pacifico», a fronte di una media europea del 30 per cento. Cina, Corea del Sud e Thailandia sono diventate il nuovo orizzonte del risparmiatore felice.
Troppo facile pensare che la crisi del debito abbia scoraggiato i nostri connazionali. Anche la gestione controversa delle difficoltà attraverso un'abbuffata di tasse ha sostanzialmente scoraggiato gli investitori. Tant'è vero che tra chi crede nell'Italia e chi pensa che l'Est Europa (Russia in primis) sia il porto sicuro per i propri risparmi, ormai lo scarto è minimo (22% contro 18%).
Anzi, a ben guardare, il «trauma-euro» ha così spaventato i facoltosi del Bel Paese che persino il Medio Oriente appare una zona di interesse per il 16% dei ricchi di casa nostra. Insomma, se da un lato è vero che Qatar ed Emirati arabi sono sempre più sotto i riflettori, anche grazie agli acquisti faraonici delle loro squadre di calcio, come Manchester City e Paris Saint Germain, è altrettanto incontestabile che le tradizionali tensioni politiche dell'area spesso hanno rappresentato un deterrente. Nell'era di Mario Monti e dei «professori» non è più così e quasi un italiano su 5 (a differenza del 7% della media europea) preferisce azzardare sui Paesi del Golfo che a casa propria.
Per la tecnopolitica salva-euro questa è una vera bocciatura. Anche perché, a differenza degli altri interpellati, gli italiani sono molto più decisi: solo il 15% non sa che cosa sia meglio scegliere per il futuro, a differenza del 28% della media europea.
Il discorso non cambia se si guarda ai prodotti preferiti per cercare di far fruttare il proprio capitale anche con i mari della finanza in tempesta. Per il 28% degli investitori italiani del campione di Schroders, la scelta giusta è rappresentata dalle azioni asiatiche (Giappone escluso) e quelle dei mercati emergenti (Brasile, Russia, India e Cina) che hanno registrato il gradimento di un quarto degli intervistati. Mattone e oro, ma questa forse non è una sorpresa, sono più graditi dei titoli di Stato.
«È positivo che comunque gli italiani mostrino una certa convinzione sui mercati», ha commentato Luca Tenani, di Schroders. Certo, gli investitori hanno fatto il callo alle asperità della Borsa, ma di sicuro hanno capito che con l'aria che tira è meglio stare lontani da tutto ciò che porta la targa «euro», incluse le azioni (gradite solo al 14%). Si potranno comprare titoli a prezzi stracciati, fare affari, ma Milano, Parigi e Francoforte non sono più la chiave giusta per emulare il guru di Wall Street, Warren Buffett.
E se le opinioni sui propri investimenti possono apparire dettate dall'emozione del momento, ci sono due dati che testimoniano come il risparmiatore del Bel Paese sia sempre degno della massima considerazione. In primo luogo, rivela Schroders, gli italiani nonostante tutto restano sempre ai primi posti per quota del reddito familiare destinata al risparmio con un 35% superato solo dai «falchi» tedeschi (40%), dagli spagnoli (38%) e dagli agiati svedesi (37%). Le «formiche» tricolore conoscono bene il valore del risparmio e, dunque, rappresentano una voce autorevole.
In secondo luogo, questa propensione a mettere da parte per il futuro è legata una connaturata prudenza. Se agli italiani si chiede cosa temono di più, la risposta del 42% (forse gli stessi che puntano sulla Cina) è un aumento delle tasse e dell'austerità, a fronte del 24% in Europa. Così come il secondo pericolo riguarda l'instabilità economica e il malcontento sociale (34% contro la media continentale del 23%). In terza posizione, ma non meno importante, la difesa del tenore di vita (23%).
Ecco, non c'è bisogno di dire nient'altro.
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