La misteriosa riunione della Dc che toglie il sonno ai centristi

La misteriosa riunione della Dc che toglie il sonno ai centristi

L’incontro è avvenuto, e non poteva essere diversamente, in un convento romano: casa Villa Maria. È lì che è stato convocato il Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, l’ultimo, quello dell’89, che contava qualcosa come più di centottanta membri. Nella sala c’erano trentacinque vecchie glorie, pescate dall’album polveroso dello scudo crociato: l’evergreen Peppino Gargani, mezzo secolo abbondante di militanza, il veronese Gianni Fontana, ministro dell’agricoltura nel primo governo Amato, l’intramontabile Clelio Darida, ministro della Giustizia e sindaco di Roma arrestato negli anni bui di Tangentopoli e poi assolto da tutte le accuse, il torinese Silvio Lega che sognò di diventare il successore di Forlani.
L’elenco, lungo come un parterre, potrebbe essere liquidato come una rimpatriata malinconica, in stile Amici miei, oppure come un tentativo folle di clonare quel che non c’è più, alla Jurassic Park. La realtà è più ambiziosa: «L’opinione pubblica - afferma Emerenzio Barbieri, bandiera della Dc di Reggio Emilia e oggi deputato del Pdl - non sa che la vecchia Dc non è defunta. Sì, i lettori penseranno alla solita diatriba filologica fra spezzoni della diaspora e, invece, la realtà è che il partito è ancora vivo. Perché, come ha stabilito la Cassazione, la Dc non venne sciolta seguendo le procedure indicate nello statuto, quindi quell’harakiri è nullo e i vari micropartitini che si disputano ferocemente la nostra eredità rimarranno a bocca asciutta».
Sorpresa: la Dc è ancora dei democristiani. O meglio è ancora nelle mani di quel Consiglio nazionale che nei giorni scorsi è stato rianimato, a quasi vent’anni di distanza dalla sua presunta morte. Morte, in realtà, mai avvenuta. Certo, il tutto può apparire un po’ grottesco, ma in questa stagione di instabilità, irrequietezza e scomposizione dei poli, la notizia è di quelle fascinose e cariche di suggestioni come un albero maturo. «Il primo passo è stato fatto - spiega Ettore Bonalberti, avversario senza chance di Tony Bisaglia a Rovigo ai tempi d’oro e oggi motore dell’iniziativa - è stato tutto molto faticoso, molti sono morti, alcuni hanno abbandonato la politica, altri come l’ultimo presidente del Consiglio nazionale Rosa Russo Jervolino non hanno mai risposto ai nostri appelli, la Jervolino nemmeno quando siamo passati dall’albo pretorio di Napoli, però ce l’abbiamo fatta. E andremo avanti per la nostra strada».
Una strada che porta dritta allo scontro con il convoglio su cui viaggia Pier Ferdinando Casini. «Noi - prosegue Bonalberti - ci siamo ripresi il nostro simbolo, lo scudo di cui altri si erano appropriati e che, invece, spetta a noi e solo a noi». Certo per i postdemocristiani dell’Udc potrebbe essere un colpo durissimo dover togliere dall’armamentario del partito ogni riferimento alla vecchia Dc. Così la resurrezione del morto che non sapeva di essere ancora vivo, ha già trovato la benedizione del Cavaliere che vede di buon occhio chiunque intralci il cammino di Casini.
Insomma, un’apparente questione di lana caprina potrebbe avere ricadute interessanti, al confine sempre problematico fra centrodestra e Terzo polo. Soprattutto in una fase come questa in cui il Pdl vede consumarsi, fra rancori, faide e inchieste, la storica alleanza con la Lega ed è costretto a guardare dall’altra parte dello schieramento, in quel centro che ribolle di leader e leaderini. Spolverare il passato, dunque, per avvicinarsi al futuro. «Mah - mette le mani avanti Enzo Scotti, ministro dell’Interno con Andreotti e sottosegretario agli Esteri con Berlusconi - c’è bisogno di creare un nuovo contenitore, ma temo che questa sia un’idea fuori dal tempo».

Calpestare la storia può finire in una farsa, ma i «congiurati», alcuni almeno, ci credono. E hanno eletto un neo presidente antico, Silvio Lega, e un presidente onorario che dalla storia rientra nella cronaca: Clelio Darida.

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