di Pier Luigi del Viscovo*
Oggi le imprese manifatturiere non possono più essere solo italiane, perché le barriere nazionali sono venute meno, l'ultima con la cessione della sovranità monetaria (l'euro e la Bce). Questo significa che ogni impresa deve ricercare la migliore condizione di equilibrio tra tutti i mercati dove opera, anzi dove deve operare. La Fiat oggi sta in piedi grazie a un equilibrio di questo tipo. Potrebbe adottare una strategia di prodotto diversa? Ossia meno attendista e prudente? È questa la domanda. Gli investimenti sono operazioni delicate in cui il ritmo è la variabile più difficile da governare. Se si ritarda si perdono occasioni di ricavo, mentre se si anticipa si rischia di non riuscire a ripagare l'investimento. Oggi la Fiat sta seguendo un suo ritmo, quello che ritiene più scevro da rischi e più ricco di opportunità. Chi non si fida e suggerirebbe un ritmo diverso deve anche specificare su quali analisi e quali competenze fonda l'alternativa e - soprattutto - se si farebbe carico di eventuali fallimenti. Perché su questo punto Marchionne è stato particolarmente cristallino: questa Fiat sta a galla o va a fondo da sola, senza aiuti e senza svalutazioni monetarie. Per corollario, va anche detto che se va a fondo oggi la Fiat non va a fondo una famiglia, ma un esercito di lavoratori. È vero, altri costruttori europei hanno seguito un'altra strategia. Tralasciando il dettaglio tecnico che questi, avendo dentro il gruppo anche una banca, hanno avuto un accesso privilegiato al mercato finanziario e agli stimoli Bce, bisogna capire che non tutte le aziende sono uguali e pretendere che Fiat adotti la strategia di un altro è un approccio davvero amatoriale. Però accusare Fiat di non aver investito sul prodotto mi sembra almeno imprudente. A parte le considerazioni addotte e i numeri prodotti da Marchionne, non saprei come altro definire l'acquisizione di un intero gruppo automobilistico del livello di Chrysler, portatore di prodotti in segmenti diversi da quelli in cui Fiat è già presente: in altri termini, avere i prodotti off-road con il marchio premium Jeep cos'è? Aggiungerei che ritrovare il nuovo equilibrio industriale e commerciale gestendo non più tre ma sei brand, non più in due aree (Europa e Sud America) ma anche in Nord America, è un'attività che impegna qualche risorsa e richiede più di qualche settimana. Non è pleonastico ricordare che sulla stessa attività, ma in un periodo appena meno complicato, un altro grande gruppo, la Daimler, ha avuto un esito meno brillante. Un Marchionne infallibile, dunque? Oltre ai due super-Mario ora avremmo anche un super-Sergio? Certo che no. Come tutti, Marchionne può sbagliare e certamente i suoi errori li commette. Nessuno gli chiede ad esempio se - tornando indietro - confermerebbe la produzione della Nuova Panda nel 2011 o se non gli avrebbe fatto comodo continuare a pompare la vecchia fatta in Polonia. Forse sì, forse no. Ma è proprio questo il punto. Un'azienda si guida con una persona alla volta, adottando una sola strategia per volta. Questa sensazione tutta italiana per cui si darebbe un colpo al cerchio e uno alla botte è senz'altro la via più sicura per massimizzare gli errori e - esteticamente - una forma un po' snob di trattare interessi sociali importanti. Detto diversamente, gli interessi degli operai non si fanno con le parole o con il festival delle nuove proposte, ma garantendo loro che c'è una guida che cerca in buona fede (e nessuna azienda è autolesionista, nessuna azienda privata) di mantenere quell'equilibrio che negli anni conserva il lavoro. Ma allora, quali sono le prospettive della produzione automobilistica italiana? Semplicemente che alcune diseconomie ci sono e sono evidenti. Produrre mezzo milione di macchine su 4 impianti è forse un lusso: o aumenta la produzione o diminuiscono gli impianti.
*Professore
di Distribuzione e Vendite alla Luiss
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