L o scudo anti spread ora è una realtà, o quasi, e Mario Monti cambia passo. Come un generale dichiara, fra i saloni dorati di Villa D'Este, guerra al partito anti Ue. L'Europa gli batte le mani, i banchieri e i commissari, riuniti in riva la lago di Como, lo citano come si cita un maestro, mentre la distanza fra i tassi italiani e quelli tedeschi finalmente scende.
È l'ora giusta per iniziare la controffensiva contro «i populismi anti Ue». E per affermarsi definitivamente come il leader della nuova Italia, senza la foglia di fico del profilo tecnico. Questo era il Monti dell'emergenza, ora c'è uno stratega che è pronto a succedere a se stesso. Lui nega, «il mio orizzonte finisce ad aprile 2013», ma in realtà è già oltre, all'inseguimento di quella parte dell'opinione pubblica tedesca, e non solo tedesca, che in queste settimane di tempesta ha remato contro l'Italia e l'Europa.
Ora, stabilizzato il differenziale fra i titoli, si tratta di stabilizzare l'edificio europeo e allora il premier propone un incontro dei capi di governo a Roma per il 25 marzo, dunque in piena bagarre elettorale. Insomma, mentre i partiti litigano e si dividono su tutto, compresa la data della chiamata ai seggi, il cantiere montiano lavora a pieno regime e dopo il Monti uno si prefigura il Monti due. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini lancia la scommessa a Skytg24: «Il Monti-bis può essere una soluzione». Anzi, la soluzione. Di fatto il governo che banchieri e imprenditori, fra una relazione e un coffee break, reclamano a gran voce. L'Italia è di fatto semi-commissariata dall'Europa, le grandi scelte sono già state decise e si tratta solo di andare avanti nella direzione tracciata. I partiti, in questa fase, hanno davvero poco margine e rischiano di mettere la faccia su politiche sempre più impopolari. Lui, invece, può andare avanti nella sua azione di risanamento, giocando una partita sempre più a tutto campo, fra Roma, Bruxelles e Berlino. «È paradossale e triste spiega che stiano affiorando populismi che mirano alla disintegrazione dell'Europa». Li chiama proprio così: populismi. E con questo vocabolo ruvido liquida come patologia dibattiti e pregiudizi e polemiche e resistenze. Monti ha riportato l'Italia in Europa, ma la missione non è finita: «Abbiamo avuto uno scambio di opinioni con il presidente Van Rompuy che ascolta in piedi, al suo fianco su un tema che sentiamo molto, cioè il rischio che all'interno dell'Unione europea, proprio mentre la costruzione europea si perfeziona, e l'euro ne è il perfezionamento molto ambizioso e ben realizzato, le difficoltà relative all'Eurozona hanno messo in luce una grande, crescente e pericolosa sensibilità nelle grandi opinioni pubbliche nei vari Paesi, con una tendenza all'antagonismo, al considerare in modo diverso da parte dei popoli del Nord i popoli del Sud e viceversa». Guerre e guerricciole, nel segno di un'antica rivalità. Basta. Basta con «vecchi stereotipi e vecchie tensioni». L'Europa sarà quella dello scudo, in cui tutti marceranno insieme, almeno sulle questioni decisive, l'euro non si spaccherà e l'Italia farà sentire la sua voce.
Anzi, l'Italia parla ad alta voce da subito. Monti chiama a raccolta a Roma i capi di stato e di governo dell'Eurozona «per fare il punto sui diversi fenomeni di rigetto». Rigetto della Ue. Rigetto dell'euro. Rigetto di tutto, Italia compresa. Questa parte in commedia è archiviata, la mossa di Draghi ha rafforzato il premier sulla sua sedia e anche la data suggerita per il meeting, il 25 marzo, è simbolica perché il 25 marzo 1957 in Campidoglio fu firmato il trattato di Roma. Altro che andare in pensione. Monti vuole rifondare la Ue. Van Rompuy lo benedice e del resto il presidente del consiglio europeo parla di «riforme impressionanti per riportare l'Italia nel cuore dell'Europa». Sono tutti d'accordo e sulla stessa linea si schiera, nel suo videomessaggio, anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano definisce Monti «una risorsa altamente qualificata», evoca, ad un livello alto, l'Europa e «l'unione politica che non è più un tabù»; poi sintetizza lo stato dell'arte. «Non illudiamoci. Molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare».
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