Politica

Monti si costituisce: «Ho aggravato la crisi»

MilanoLe parole di un chirurgo che comincia a sospettare che l'operazione «perfettamente riuscita» stia rischiando di ammazzare il paziente. Per la prima volta, almeno in pubblico, il dubbio incrina le certezze del premier Mario Monti chiamato inaugurare Milano Unica, il Salone internazionale del tessile aperto a Fieramilanocity. «Il governo - ha spiegato ieri mattina con tono professorale davanti a imprenditori e autorità - ha contribuito ad aggravare la congiuntura economica già difficile con i suoi provvedimenti che però serviranno a un risanamento e a una crescita duratura». Poi, già prevedendo i titoli dei giornali del giorno dopo, anticipa la sua difesa resa ancor più necessaria dalla fotografia di una recessione, secondo gli ottimisti «a breve termine», impietosamente denunciata dai dati economici diffusi lunedì dall'Istat con un calo del Pil dello 0,8 per cento rispetto a gennaio-marzo e del 2,6 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando al timone c'erano Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. «Si dirà - si è difeso Monti - che con le nostre decisioni abbiamo contribuito ad aggravare la congiuntura. Certo, solo uno stolto può pensare che sia possibile incidere in elementi strutturali che pesano da decenni, senza provocare nel breve periodo un rallentamento dovuto al calo della domanda. Solo in questo modo si può avere la speranza di avere più in là un risanamento». Aggiungendo che nel dubbio tra la visione di lungo periodo o il «surfing sulle onde della tempesta finanziaria», il governo avrebbe preferito la cura da cavallo. Che fa rabbrividire gli imprenditore del tessile (comunque un settore del made in Italy piuttosto privilegiato) che nel primo semestre dell'anno sono costretti a registrare un calo della produzione fissato a un pauroso meno 15,3 per cento. E le critiche alla politica economica del governo sono già nella parole del presidente di Milano Unica Silvio Albini che ricorda a Monti «le zavorre che gravano sull'industria». Una lista lunghissima che comprende «fiscalità eccessiva, costo del lavoro troppo alto, ma basso quando arriva in busta paga, costi dell'energia troppo alti rispetto alla media europea, difficoltà a finanziare l'incessante necessità di innovazione di processo e di prodotto, burocrazia». Con il presidente di Moda Italia Michele Tronconi che ricorda a Monti la difficoltà degli imprenditori costretti ad «andare all'estero con un euro sopravvalutato e costretti a pagare pure i dazi».
Un bagno di economia reale di fronte a cui Monti non può che fare generiche promesse e proseguire per tutta la giornata un abbozzo di autocritica. Mentre la Grecia, la Spagna, l'Irlanda e il Portogallo hanno aumentato la produttività diminuendo il costo unitario del lavoro e invertendo il trend negativo, dirà nel pomeriggio dopo essere volato a Roma, «l'Italia non ha migliorato la produttività e ha peggiorato il costo del lavoro». E durante il confronto tra governo e sindacati a Palazzo Chigi, la certezza che sia necessario agire proprio sul costo del lavoro e sulla produttività che vede l'Italia tra i Paesi che hanno peggiorato la posizione sullo scacchiere internazionale. Recuperare competitività, avrebbe detto al tavolo, è una sfida «ancora più importante dello spread». E il ministro Corrado Passera che concede uno spiraglio, parlando di margini per aumentare gli stipendi, ma solo a condizione che si aumenti prima la produttività aziendale. Mentre Monti tenta di far sentire un po' in colpa anche gli italiani, già strizzati dalla nuova tassazione record: «Casta siamo tutti noi cittadini che continuiamo a dare prevalenza più al particolare che al generale e poi ci lamentiamo che il generale funziona male». Fosche anche le previsioni sul futuro perché quella attuale è «una fase molto dura della vita del Paese», ma inevitabile per il risanamento.
Piatti magari vuoti e aziende chiuse, ma un futuro assicurato. Forse dimenticando, il bocconiano Monti, la lezione del padre della macroeconomia, il britannico John Maynard Keynes: «In the long run we are all dead».

Nel lungo periodo siamo tutti morti.

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