Roma - Giù le mani dal Cav. Basta con «le interferenze» sulla politica. Non mettete bocca sulla formazione del governo. Quanto poi «all'aberrante ipotesi» di «togliere di mezzo per via giudiziaria uno dei protagonisti del confronto democratico», non ci voglio nemmeno pensare. No, «il capo dello Stato non può interferire sul potere giudiziario», ma insomma, quello che pensa delle inchieste su Berlusconi è chiaro: «È comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo, a breve distanza dal primo, nelle elezioni del 24 febbraio, di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento, che si proietterà fino alla seconda metà di aprile».
Scordatevi una mia pressione, perché un presidente non può proprio entrare nel merito dei processi. E quella marcia sul tribunale, «una manifestazione politica senza precedenti», non pensate che mi sia andata giù. Giorgio Napolitano è «rammaricato» per la sfilata davanti alla porta della Boccassini chiede «senso di responsabilità» e spera in «un cambiamento del clima». La reprimenda presidenziale però finisce qui e il centrodestra, dopo l'incontro al Quirinale, può dichiararsi «soddisfatto». Tanto più che in serata Napolitano fa proprio quello che il Pdl sperava: convoca il comitato di presidenza del Csm e invita «con fermezza» i pm «a rispettare il giusto processo e rigorose norme di comportamento». Serve «equilibrio»: i magistrati «non si attribuiscano missioni improprie».
Alfano, Cicchitto e Gasparri arrivano sul Colle alle 11 per sollevare «un problema di emergenza democratica». Quando escono, poco prima di pranzo, possono dire di aver segnato qualche punto a favore. E il primo sta proprio nell'udienza, concessa qualche giorno fa e confermata nonostante la marcia milanese, i tuoni di Marco Travaglio sul Fatto e i fulmini di Ezio Mauro su Repubblica: «Ci aspettavamo che Napolitano non ricevesse chi trascina il Parlamento in piazza».
Invece l'incontro si svolge come previsto. I tre vertici del Pdl scelgono il profilo basso. «Rappresentano preoccupazioni di carattere politico-istituzionale», però, «consapevoli delle prerogative del capo dello Stato», non presentano «alcuna richiesta di impropri interventi». Il presidente ascolta con interesse e lancia «un appello al comune senso di responsabilità». Né «la libertà di espressione del dissenso», né «l'indipendenza della magistratura» vanno messe in discussione.
Ma il secondo punto, quello più importante, Silvio Berlusconi lo mette a segno in serata, quando sul Colle si presentano Michele Vietti, vicepresidente del Csm, Ernesto Lupo e Gianfranco Ciani, primo presidente e procuratore generale della Cassazione. Un'ora e mezzo dopo, una nota del Colle traccia i confini tra magistratura e politica. Da un lato, si legge, «il più severo controllo di legalità un imperativo assoluto per la salute della Repubblica da cui nessuno può considerarsi esonerato in virtù dell'investitura popolare ricevuta». Dall'altro Napolitano sollecita «il rispetto di rigorose norme di comportamento da parte di quanti sono chiamati a indagare e giudicare, guardandosi dall'attribuirsi missioni improprie e osservando scrupolosamente i principi del giusto processo con particolare attenzione per le garanzie da riconoscere alla difesa».
E dopo le elezioni, «per effetto della situazione che ne è scaturita, ma soprattutto per l'estrema delicatezza degli adempimenti istituzionali che stanno venendo a scadenza, occorre evitare tensioni destabilizzanti per il nostro sistema democratico». Il Paese è a rischio, serve un governo, non una faida.
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