Il Pd pronto alle barricate per evitare accordi col Cav

La paura dei democrat: governo tecnico con il Pdl guidato dalla Cancellieri. Bersani pensa di offrire la presidenza della Camera a un grillino per ottenere la maggioranza

Il Pd pronto alle barricate per evitare accordi col Cav

Una «lenzuolata a Cinque Stelle», la chiama Europa nella sua prima pagina online. E c'è una punta di ironia nella sintetica descrizione delle «linee programmatiche» esposte da Pier Luigi Bersani, nella sua prima uscita pubblica dopo la batosta, fatta dal quotidiano Pd, tendenza liberal.
Sinistra Pd e Sel si mostrano soddisfatti della linea scelta dal candidato premier del Pd: «Ha scelto un percorso condivisibile, chiamando in causa Grillo e sbarrando la strada alla jattura di un governissimo col Pdl», dice il vendoliano Franco Giordano. «Le pressioni esterne per andare ad un accordo con Berlusconi ci sono già e saranno sempre più forti, ma noi dobbiamo resistere», ragiona il «giovane turco» Matteo Orfini, prima di infilarsi in una riunione di corrente con Stefano Fassina, Andrea Orlando e gli altri per calibrare la linea prima del summit notturno dei vertici del partito. E per «pressioni esterne» intende l'Europa, i mercati, i famosi «poteri forti» con i loro giornali. Assicura di non intendere il Quirinale, ma altri, invece, mettono nel novero anche Napolitano. E spiegano: «Se Bersani è andato giù così netto con l'apertura a Grillo, esponendo praticamente il suo programma di governo e offrendogli la presidenza della Camera, è per stoppare sul nascere il tentativo di governo tecnico con l'appoggio del Pdl che potrebbe partire sopra la sua testa, magari guidato da un ex ministro come Annamaria Cancellieri». Per inciso, quella plateale offerta della terza carica dello Stato agli uomini del comico genovese ha fatto saltare più d'uno sulla sedia, nel Pd. In particolare il capogruppo uscente Dario Franceschini, che ha prenotato da molto tempo la poltrona. E che lunedì sera, quando il Pd ha superato di un soffio la soglia del premio di maggioranza, aveva tirato un gran sospiro di sollievo: a quel punto, come diceva un suo fedelissimo ieri pomeriggio, «a Montecitorio possiamo eleggere presidente anche una zebra, con i nostri voti, mentre si può trattare sulla presidenza del Senato».

La sera, davanti al coordinamento del Pd riunito al Nazareno, Bersani articola il concetto, mandando il suo messaggio al Colle: «Dico no a un governissimo. Dobbiamo cogliere l'esigenza di cambiamento». Peraltro, chi nel Pd aveva aperto un minimo spiraglio alle trattative con il Pdl è stato prontamente richiamato all'ordine: Francesco Boccia, in diretta tv, ieri mattina si era spinto a dire che si potevano tentare «accordi trasparenti su alcuni temi» anche con il centrodestra, ma è stato subito smentito da Anna Finocchiaro, spedita su un altro canale a spiegare che le larghe intese sono escluse e che bisogna pensare ad «un governo di minoranza che faccia le riforme», a partire dal conflitto d'interessi.
Inaspettatamente, a ora tarda, Grillo apre un varco, lascia trapelare che una mano potrebbe tenderla. Nel Pd molti fiutano la trappola: «È la sua strategia: magari ci fa pure il favore di far uscire i suoi al Senato per farci avere la fiducia, e poi dal giorno dopo ci tiene per le palle e presenta una bella legge per bloccare la Tav e ci propone Celentano per il Colle. E noi ci suicidiamo», spiega un dirigente. E quando a Ballarò Alessandra Moretti apre alla commissione d'inchiesta sui rapporti tra Ds e Mps, chiesta da Grillo, su Twitter si scatena il panico tra i democrat.

Bersani, duramente provato dalla inaspettata delusione delle sue speranze di vittoria, cerca di mediare tra spinte contrapposte nel suo partito, chi spinge per spostare tutta la barra a sinistra e tornare al voto appena eletto il nuovo capo dello Stato, «come si è fatto in Grecia», e chi frena e pensa che le larghe intese con un premier tecnico siano l'unica salvaguardia da un nuovo trauma elettorale ravvicinato. D'Alema e Veltroni tacciono, ma non avrebbero condiviso la linea a cinque stelle.

E per il segretario e aspirante premier la resa dei conti interni è solo rinviata: lo si capisce quando il sindaco di Bologna Merola, già bersaniano doc, manda a dire: «Bisogna prendere atto che Renzi è la nostra speranza di rinnovamento».

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