Il Pdl grida al colpo di mano: «Ora si deve tornare al voto»

L'elezione di presidenti di sinistra vista come una forzatura: "Bersani ha preso il 29% ma si comporta come se avesse il 100%". E inizia a circolare la data del 28 giugno

RomaUn «uno-due» atteso ma che fa male. Letta e paventata fino all'ultimo come una forzatura, l'elezione di due candidati di sinistra-sinistra ai vertici del Parlamento scuote il Pdl. Che subito sventola la bandiera del voto. La più lesta a commentare lo strappo del Pd con Boldrini e Grasso ai vertici del Parlamento, è Daniela Santanchè: «Bene, il voto al Senato che ha incoronato il militante Grasso a presidente, ha sancito questo assunto: ancora una volta la sinistra ha dimostrato che l'unica cosa a cui tiene veramente sono le poltrone. E anche il Movimento 5Stelle, trincerandosi dietro la foglia di fico del “mani libere” ha dimostrato di essere degno compare del Pd». E quindi: «A questo punto la via maestra è una sola: elezioni subito per portare avanti non le poltrone ma gli interessi del Paese e di tutti gli italiani». Concetto già espresso dal segretario del partito Alfano, in Transatlantico alla Camera, prima che al Senato Pd e cinquestellati spingessero Grasso sullo scranno più alto di palazzo Madama: «Noi abbiamo proposto una scelta istituzionale. Se invece si dovesse consolidare il ticket proposto dal Pd si precipiterebbe verso il voto». Parole dure, anche perché, ricorda Alfano, sulle presidenze delle Camere «la logica è stata capovolta rispetto a quanto Bersani aveva detto in campagna elettorale. Aveva detto che si sarebbe comportato come se avesse il 49% anche con il 51%. Ha preso il 29% e si comporta come se avesse il 100%. Di fronte a questa chiusura a riccio della sinistra l'unica risposta che potevamo dare era quella istituzionale e Schifani ha già saputo ben governare le istituzioni. Se sarà eletto - conclude - la legislatura avrà qualche chance di proseguire». Invece no, il Pd vuole tutto.

«Come nel 2006 la sinistra prende tutto, Camera e Senato - riflette amara Prestigiacomo -, anche se non ha la maggioranza. Si ripetono gli stessi errori». E Salvatore Cicu sulla stessa linea: «Come inizio non c'è male: Camera e Senato a Pd e Sel. Prove di piccole intese». Bersani esulta ma la sua vittoria sembra una vittoria di Pirro. E Matteoli lo spiega guardando alle prossime consultazioni: «L'elezione di due presidenti delle Camere di sinistra peggiora indubbiamente la situazione politica. I margini di manovra per il capo dello Stato sulla formazione di un governo sono ancor più stretti se non annullati. Ciò nonostante auspichiamo, nell'interesse del Paese, che Napolitano riesca a far ragionare Bersani e il Pd. Diversamente il voto anticipato entro giugno è l'unico sbocco obbligato». «Non ci sono i numeri per fare un governo», taglia corto Gasparri.

Insomma, l'ira per l'occupazione delle presidenze di Camera e Senato da parte di Bersani è mitigata dalla consapevolezza che, per il Pd, si tratta di una vittoria di Pirro. Il piddino non ha sciolto ancora nessun nodo relativo alla formazione di un governo, né favorito un dialogo costruttivo per un'intesa sul nuovo capo dello Stato. La situazione resta quindi di stallo.

Ritorno alle urne, quindi? In Transatlantico gira già una data: 28 giugno. Tuttavia qualcuno frena. Un deputato pidiellino scuote la testa: «In realtà nessuno vuole andare alle elezioni. Non le vuole Napolitano, né il Pd, né Grillo, né tantomeno la Lega; e neppure noi faremmo i salti di gioia. Per non parlare delle cancellerie europee, di Washington, dei mercati finanziari».

E poi c'è la partita delicatissima del Quirinale.

E lì le carte potrebbero mischiarsi nuovamente. Sì, perché già si mormora che Grasso potrebbe lasciare la poltrona appena conquistata per volare verso il Colle, riaprendo la strada a Schifani per lo scranno più alto di Palazzo Madama.

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