Roma - È un caso emblematico di giustizia lenta e di processi-lumaca. Un episodio che suscita interrogativi e perplessità, in relazione anche al clamore avuto dalla vicenda, soprattutto tra il 2007 e il 2010. La notizia viene lanciata da il Messaggero, nella sua cronaca romana. «Processo infinito, un milione agli imputati». L'occhiello offre un ulteriore elemento: «I fondi sequestrati sono stati restituiti per la prescrizione». L'inchiesta è quella sui corsi di formazione fantasma alla Regione Lazio. Nel mirino la società organizzatrice dei corsi, accusata di avere incassato cifre consistenti per prestazioni mai svolte o comunque svolte solo parzialmente, sfruttando risorse del fondo sociale europeo. Un processo il cui inizio risale al 2007 e nel quale tra gli imputati figura anche l'ex assessore della Giunta Storace, Giorgio Simeoni (sul quale non sarebbero emersi elementi in sede di indagine). L'indagine si è sviluppata su tempi lunghi. E con lo scorrere del tempo la società sotto inchiesta ha chiesto il dissequestro dei fondi assegnati e bloccati dal pubblico ministero, ottenendo indietro già più di un milione di euro. Ma si tratta solo di una prima tranche perché tra poco riceveranno il resto dei soldi. Il presidente della IV sezione del Tribunale di Roma motiva così la sua decisione: «Per intervenuta decorrenza del termine di prescrizione massimo relativo ad alcuni degli episodi delittuosi contestati». Insomma per aver sforato i limiti temporali previsti da questo istituto giuridico alla società organizzatrice sono stati restituiti in tre tranche prima 350mila euro, poi 526mila e ancora 464mila, per un totale che supera il milione e 300mila euro. Ma non è finita qui perché presto saranno restituite ulteriori somme. In sostanza sono stati sbloccati i fondi ottenuti fino a gennaio 2005 (la società, secondo l'accusa, avrebbe ottenuto finanziamenti per corsi in parte non svolti dal 1998 al 2006). Quello dei corsi di formazione regionali è una sorta di pozzo senza fondo, un buco nero nel quale cadono e spariscono denari pubblici in quasi tutte le regioni italiane, come è facile verificare scorrendo le pagine della cronaca giudiziaria negli ultimi anni. In Sicilia, ad esempio, nello scorso ottobre, è scattata un'inchiesta per cinque anni di corsi di formazione-fantasma in Regione, mentre meno di un mese prima lo stesso era avvenuto in Lombardia, così come andando indietro nel tempo si possono trovare analoghi procedimenti anche in Toscana, addirittura per corsi finalizzati all'inserimento lavorativo dei disabili. Insomma di operazioni «corsi d'oro», truffe milionarie ai danni del contribuente, enti fantomatici e società di comodo, registri e fatture gonfiate, contabilità creative e false certificazioni per lezioni mai svolte (o svolte davanti a platee molto più ridotte di quanto denunciato) sono pieni gli archivi dei giornali. Questo non significa affatto che sia necessario trasmettere l'idea che un processo possa durare sine die, senza un termine allo scoccare del quale un procedimento possa ritenersi concluso. Sono ragioni di certezza giuridica oltre che di civiltà a imporre la necessità di segnare un perimetro temporale preciso, attraverso un istituto, quello della prescrizione, che risale al diritto romano e risponde all'esigenza di porre un freno ai poteri pubblici, potenzialmente nella condizione di tenere gli imputati «appesi» a una infinita attesa.
La vicenda laziale colpisce, però, per l'avvenuta prescrizione e la restituzione delle somme a chi potrebbe aver commesso la truffa (o, al contrario, potrebbe aver ricevuto un danno di immagine in caso di estraneità ai fatti). Tanto che anche l'ex sindacalista Giorgio Benvenuto su Twitter fa notare come il processo romano non possa che essere catalogato sotto la voce «paradosso».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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