La prima chiamata la riceve che è ancora mattino presto e dall'altra parte del telefono c'è chi va perorando la causa dell'accordo con Bersani. Berlusconi come al solito ascolta paziente, ma non nasconde lo scetticismo. «Se accetta l'accordo sul Colle bene, altrimenti per me può andare a casa», ripete al suo interlocutore. Nessuno spiraglio, dunque, nonostante da Roma ci sia chi, anche tra i big Pdl, predica cautela e giura che un'intesa è possibile.
Sul punto il Cavaliere ritorna qualche ora più tardi, durante un colloquio in viva voce tra Arcore e Roma. Così, giusto per mettere in chiaro ai teorici dell'accordo che la linea resta un'altra. In via dell'Umiltà ci sono Alfano, Verdini e alcuni parlamentari di peso e il messaggio che consegna Berlusconi gela l'ottimismo che (incredibilmente) dispensano in Transatlantico anche molti esponenti del Pd. Il «no» dell'ex premier è secco e categorico, nonostante le aperture arrivate da Bersani, disponibile non solo a lasciare la presidenza di un'eventuale Bicamerale per le riforme ad Alfano ma pure a dare al Pdl una buona parte delle presidenze delle commissioni.
Il quadro non cambia, ripete un Berlusconi irremovibile. Due sono le strade: o un governo politico Pd-Pdl con un capo dello Stato condiviso (ma aspettando il voto del successore di Napolitano previsto per metà aprile prima dare via libera all'esecutivo, giusto per evitare spiacevoli sorprese) oppure un governo a guida Bersani ma con il nome per il Quirinale indicato dal centrodestra. Non una rosa, ma un solo nome: quello di Gianni Letta. Alternative a questo schema, spiega Berlusconi ai suoi interlocutori che lo ascoltano in viva voce, «Non-ce-ne-so-no». «O Bersani accetta dice l'ex premier o la chiudiamo qui».
E già, perché il Cavaliere non ha affatto gradito la linea tenuta finora da Bersani. «Chiude alle larghe intese comportandosi da segretario di partito invece che da premier incaricato», dice ai suoi. Eppoi, insiste, «pretende pure di indicare il prossimo capo dello Stato dopo essersi già preso la presidenza di Camera e Senato». E a chi gli obietta che Bersani è pronto a concedere la presidenza della Bicamerale delle riforme il Cavaliere risponde con considerazioni abbastanza colorite. La cui traduzione edulcorata è la seguente: spiegatemi perché ci prendiamo la presidenza di una cosa che forse nasce fra sei mesi per regalare la poltrona da cui per i prossimi sette anni si deciderà la politica italiana? Spiegatemelo perché io non sono così acuto come voi, davvero non ci arrivo. Spiegatemi perché vi interessa così tanto.
Eppure, nonostante la posizione di Berlusconi fosse chiara non da ore ma da giorni, durante tutta la giornata va in scena un incredibile corto circuito. Più di un parlamentare Pdl, infatti, giura che l'accordo è a un passo. Mentre c'è chi continua a obiettare che non si capirebbe il vantaggio del Pdl a sostenere un governo Bersani senza avere alcuna garanzia sul Quirinale. Uno schema ricorda con un pizzico di perfidia un ex ministro molto vicino al Cavaliere che fa tornare alla mente il doppio binario in cui si avvitò il Pdl nei giorni in cui a Bruxelles il Ppe faceva sponda con Roma per alimentare la fronda a Berlusconi. Fronda finita come tutti sanno.
Così, nel tardo pomeriggio e dopo una riunione ristrettissima ad Arcore, Berlusconi dà il via libera per mettere la parola fine. «La vicenda è chiusa si legge in un comunicato a firma Alfano - e l'ha chiusa Bersani che ora si trova nel vicolo cieco in cui si è infilato. Sta a lui, ora, rovesciare la situazione, se vuole e se può, nell'interesse del Paese».
Incredibilmente, però, ancora a tarda sera c'è chi a via dell'Umiltà non si arrende e continua a coltivare la linea della trattativa a ogni costo. Ad Arcore, invece, Berlusconi è già al lavoro sulla campagna elettorale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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